Un eccesso di zinco nella propria alimentazione rende l’organismo più sensibile alle infezioni da Clostridium difficile, la prima causa di infezioni acquisite in ambiente ospedaliero.
Ad affermarlo è uno studio della Vanderbilt University Medical Center, pubblicato recentemente su Nature Medicine.
Il Clostridium difficile, che in condizioni normali non causa problemi, può proliferare in maniera incontrollata quando gli equilibri all’interno della popolazione batterica intestinale vengono, per qualche motivo, sconvolti.
Ciò accade principalmente in corrispondenza di un trattamento antibiotico. E secondo quest’ultima ricerca l’eccesso di zinco provocherebbe sul microbioma intestinale alterazioni simili a quelle che si ottengono con gli antibiotici.
Per provare la tesi, sono stati condotti test su modello animale, più precisamente sui topi.
Gli esperimenti hanno evidenziato che gli animali sottoposti a una dieta ad alto tasso di zinco sono più suscettibili all’infezione da Clostridium difficile rispetto ai topi che assumono quantità normali dell’elemento.
Inoltre, è stato osservato che la malattia ha effetti più gravi e più letali quando lo zinco assunto è in eccesso.
Distruggendo molti batteri intestinali innocui, spiegano i ricercatori, gli antibiotici riducono la biodiversità dell’ambiente e permettono al Clostridium difficile di prosperare.
«Un’alimentazione troppo ricca di zinco modifica in modo simile la comunità batterica e riduce la soglia minima di antibiotici necessaria a rendere l’ambiente suscettibile all’infezione» spiegano i ricercatori.
Legittime, quindi, le preoccupazioni per i pazienti ospedalizzati (e in generale quelli sotto terapia antibiotica) che assumono integratori di zinco, particolarmente esposti all’infezione.
I risultati potrebbero spiegare, quantomeno in parte, anche il recente aumento di infezioni da Clostridium difficile che hanno colpito pazienti non ospedalizzati e non sotto antibiotici.
«È importantissimo sapere cosa si assume» commenta Eric Skaar, uno degli autori dello studio. «I multivitaminici, così come altri integratori simili, dovrebbero essere assunti solo in presenza di un deficit nutrizionale».
Una possibile contromisura per contrastare la suscettibilità alle infezioni da Clostridium è stata identificata nel corso dello studio in una proteina (calprotectina) in grado di legarsi allo zinco.
La calprotectina combatte la proliferazione del batterio limitando, durante l’infezione, la disponibilità di zinco.
La strada della ricerca è ancora in salita. Anche perché, allo stato attuale, l’unico approccio terapeutico che ha riscontrato qualche successo è la pratica del trapianto di microbiota, ma il tentativo di curare la colite da Clostridium con un numero selezionato di batteri si è dimostrato infruttuoso.
«Ogni microbioma è unico ed è influenzato in modo peculiare da alcuni fattori ambientali, fra cui la dieta» concludono i ricercatori. «Andrà fatto ancora di più per comprendere meglio i fattori che plasmano il nostro microbioma, in modo da progettare strategie terapeutiche efficaci».
«Questo studio pone l’attenzione su un aspetto non totalmente nuovo nell’ambito della microbiologia, noto come “nutritional immunity”» commenta Eva Pericolini, microbiologa e ricercatrice all’Università di Perugia.
«Consiste nella particolare abilità di alcuni microrganismi patogeni di assimilare e competere con l’ospite per i micronutrienti essenziali» prosegue «un’attitudine che probabilmente i microrganismi patogeni hanno sviluppato e affinato durante il processo evolutivo al fine di proliferare nei loro ospiti e causare la malattia».
Gli autori di questo studio dimostrano che un eccesso di zinco aumenta la suscettibilità all’infezione da Clostridium difficile. «Secondo quanto emerge da questa ricerca la calprotectina» puntualizza la microbiologa «si lega allo zinco riducendo l’utilizzazione del minerale da parte del microbiota gastrico. Per questo potrebbe svolgere un ruolo chiave nel determinare la risposta immune al Clostridium difficile e nel diminuire la gravità della malattia».
«Questi risultati sottolineano quindi l’importanza delle scelte alimentari nell’omeostasi del microbiota intestinale» conclude Pericolini.
(Credit cover image: Francisco Bengoa – Wellcome Image)