La prevalenza delle malattie infiammatorie intestinali (IBD) è in aumento e non esistono trattamenti efficaci per tutti i pazienti. Di recente un gruppo di ricercatori ha identificato un inibitore dell’enzima che diventa insolitamente attivo nel colon dei pazienti affetti da IBD. Quando somministrato a topi affetti da colite, il composto ha ridotto l’infiammazione nel colon e ripristinato la sua normale struttura.
I risultati, pubblicati su Science Translational Medicine, suggeriscono che la somministrazione di (S)-IBD3540 rappresenta un approccio promettente per il trattamento delle IBD nell’uomo.
«L’idea di aver scoperto un nuovissimo bersaglio terapeutico e di aver sviluppato con successo una terapia orale ben tollerata ed efficace è davvero entusiasmante», afferma l’autrice senior dello studio Barbara Slusher della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora.
Sebbene i farmaci antinfiammatori e i trattamenti immunosoppressori possano alleviare alcuni dei sintomi dell’IBD, fino al 40% dei pazienti con forme moderate o gravi non risponde alla terapia.
Precedenti studi suggeriscono che un enzima chiamato glutammato carbossipeptidasi II, o GCPII, potrebbe rappresentare un promettente bersaglio terapeutico nell’IBD. L’enzima è sovraregolato nei pazienti affetti da morbo di Crohn o colite ulcerosa, nonché nei modelli murini della condizione. Barbara Slusher e il suo team hanno quindi deciso di generare diversi composti in grado di inibire GCPII.
Smorzare l’infiammazione
I ricercatori hanno esaminato tre dei composti generati in un modello murino di colite acuta. Ciascun composto è stato somministrato ai topi per via orale una volta al giorno. Di questi, solo uno – chiamato (S)-IBD3540 – ha ridotto l’infiammazione nel colon dei topi.
Inoltre, (S)-IBD3540 ha inibito di circa il 75% l’attività di GCPII nel colon e ha mostrato una migliore efficacia rispetto ai farmaci attualmente utilizzati per trattare il morbo di Crohn e la colite ulcerosa.
I ricercatori hanno scoperto che i topi trattati con (S)-IBD3540 avevano una migliore consistenza delle feci e un minore sanguinamento rettale.
Il team ha progettato (S)-IBD3540 in modo che rimanga nell’intestino, una caratteristica che dovrebbe migliorarne la sicurezza e ridurre il rischio di esposizione al resto del corpo se somministrato per via orale. In effetti, i topi trattati non hanno mostrato effetti collaterali apparenti.
Verso la clinica
Successivamente, i ricercatori hanno testato (S)-IBD3540 su “mini-intestini” coltivati in vitro da tessuti bioptici di pazienti. Il composto ha protetto le cellule del colon dallo stress ossidativo e ha rafforzato l’integrità della barriera tipicamente formata da queste cellule.
«Questa è la prima volta che un inibitore orale del GCPII è in grado di proteggere la funzione intestinale», afferma Diane Peters. «L’efficacia di (S)-IBD3540 nei topi e nei modelli preclinici umani, senza prove di tossicità, è altamente incoraggiante».
Ulteriori studi sono in corso per facilitare l’utilizzo di (S)-IBD3540 nei primi studi sugli esseri umani.