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Artrite reumatoide, prime conferme sul ruolo del microbiota intestinale

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Artrite reumatoide, prime conferme sul ruolo del microbiota intestinale

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La disbiosi intestinale attraverso la stimolazione dei linfociti T e B, i principali attori della risposta immunitaria, sembrerebbe contribuire allo sviluppo di artrite reumatoide con base infiammatoria.

È quanto affermato dallo studio di Widian K. Jubair e colleghi, recentemente pubblicato su Arthritis and Reumatology e condotto su particolari modelli murini.

L’artrite reumatoide (AR) è una patologia autoimmunitaria sistemica caratterizzata da un dolore cronico e progressivo a carico delle articolazioni e accompagnato, nelle forse più avanzate, da vera a propria deformità degli arti e disabilità.

La patogenesi vede la combinazione di fattori genetici e ambientali tra i quali la disbiosi intestinale sta ricoprendo un ruolo sempre più interessante nonostante non sia ancora chiaro se sia da annoverare tra le cause o all’interno della stessa malattia.

In questo studio, il gruppo di ricercatori dell’University of Colorado School of Medicine ha voluto infatti approfondire, sulla base di dati ricavati dall’osservazione batterica di pazienti con artrite reumatoide, in che modo il microbiota va a modulare la risposta immunitaria implicata nello sviluppo della patologia in relazione al suo decorso e, di riflesso, quali siano i cambiamenti a suo carico.

Per farlo sono stati analizzati modelli murini DBA/1J, resi suscettibili allo sviluppo di artrite reumatoide attraverso l’immunizzazione con CII (collagen type II) al baseline a al giorno 21.

La manifestazione clinica della patologia è tuttavia da ricondurre a qualche giorno dopo, il 23° e 24°.

Il microbiota intestinale è stato caratterizzato attraverso sequenziamento 16S rRNA dei campioni fecali raccolti al baseline e ogni 7 giorni durante il processo di induzione artritica o CIA (collagen-induced arthitis) per poi esser eliminato dalla somministrazione antibiotica ad ampio spettro. La deplezione batterica ha seguito due schemi paralleli, uno precoce a 7 giorni prima della CIA e uno più ritardato a 21 giorni. Sono stati quindi monitorati opportunamente la severità dell’artrite reumatoide, la produzione di autoanticorpi e di citochine e, infine, la risposta della mucosa intestinale nel contesto di compromissione batterica. Tutti i dati sono stati poi confrontati con modelli di controllo.

Leggi anche: Malattie infiammatorie sistemiche e microbiota: lo stato dell’arte della ricerca

Composizione batterica e infiammazione mucosale cambiano nell’artrite reumatoide

Dal confronto dei vari campioni si è scoperto come già al quattordicesimo giorno sia possibile determinare una differenza di composizione batterica significativa, ulteriormente rimarcata al giorno 21, poi stabilizzata fino alla fine dell’osservazione al giorno 35. A livello di famiglia, Lactobacillaceae hanno registrato una notevole espansione mentre S24-7 hanno dimostrato un decremento tra il 14° e 21°. Anche Lachnospiraceae risultano aumentate rispetto al baseline.

Dal altro canto, sia l’omogeneità che la biodiversità, hanno mostrato progressivo decremento in concomitanza con la somministrazione del trattamento per CIA.

Appare tuttavia difficile determinare con certezza se questi cambiamenti di espressione siano da attribuire al decorso della CIA o alla risposta immunitaria indotta dall’agente adiuvante dato che anche il profilo batterico dei modelli di controllo ha dimostrato alterazioni temporali, seppur diverse.

È stato poi esaminato se la disbiosi osservata sia supportata anche da modifiche a livello della mucosa andando a valutare il grado di integrità della barriera attraverso l’uso di FITC, uno zucchero fluorescente non digeribile.

Un sua elevata concentrazione nel siero è stata rilevata già al giorno 14 con incremento significativo fino al termine dello studio solo nei modelli CIA, andandosi quindi a tradurre in un contemporaneo e marcato danneggiamento dell’epitelio intestinale. Dal confronto con i controllo è stato infatti visto come nei modelli con artrite indotta sia andato ad aumentare il livello di infiltrazione di cellule infiammatorie all’interno della lamina propria oltre che la concentrazione delle citochine IL-17A, IL-22 e IL-23 mentre per quanto riguarda IFN-y, IL-12p70, IL-1β, IL-6, IL-10 e TNF-α non si è registrata alcuna particolare variazione.

Complessivamente dunque, la disbiosi è risultata implicata nel sostenere la risposta infiammatoria mucosale che compare già prima della manifestazione clinica della patologia vera e propria nei modelli CIA.

Il microbiota influenza la severità dell’artrite reumatoide modulando citochine e autoanticorpi

Per verificare l’effettivo ruolo del microbiota nello sviluppo dell’artrite sono stati utilizzati antibiotici ad ampio spettro (ampicillina, metronidazolo, neomicina e vancomicina) sia in co-somministrazione che in singola.

Per avere un confronto più esaustivo sono stati dunque applicati tre diversi regimi terapeutici:

A) antibiotico orale o acqua di controllo iniziando 7 giorni prima dell’induzione di CIA e continuando durante lo studio;

B) antibiotico o acqua di controllo per solo i 7 giorni prima dell’induzione di CIA facendo seguire poi esclusivamente acqua di controllo;

C) acqua di controllo da 7 giorni precedenti l’induzione di CIA al 21° per poi passare ad antibiotico o acqua di controllo fino alla conclusione dello studio. Non essendo emersa alcuna differenza sostanziale nell’abbondanza batterica totale tra il gruppo in regime A e B, i dati sono stati accorpati per le analisi.

I topi ai quali è stato somministrato il trattamento anticipato hanno mostrato il 40% di riduzione in termini di gravità della patologia al giorno 35 mentre, sorprendentemente, quelli che hanno ricevuto l’antibiotico dopo il secondo ciclo di immunizzazione (giorno 21) hanno evidenziato solo una forma transiente e leggera della patologia con un decremento di severità di oltre il 95%.

Passando poi alla prevalenza registrata al termine dello studio, nei gruppi a trattamento precoce rimane al 100%, al pari con i topi controllo, mentre in quelli con piano terapeutico traslato in avanti si mostra ridotta di circa un 50%.

A supporto della riduzione di severità patologica generale sono i livelli registrati delle citochine infiammatorie IFN-y, IL-1β, IL-6, IL-10 e TNF-α, i quali, benché siano risultati ridotti in tutti i gruppi, hanno mostrato un decremento maggiore nel gruppo con antibiotico post-CIA.

In quest’ultimo gruppo inoltre si è notato una leggera anticipazione dello sviluppo di autoanticorpi sierici IgG anti-CII, processo fortemente ritardato nei regimi A e B ma complessivamente mantenuto.

Ci si è poi concentrati sulle citochine IL-17A, IL-22 e IL-23 in quanto alterate alla prima manifestazione di disbiosi rilevata il giorno 14. IL-17A, IL-22 hanno mostrato significativo decremento a livello dell’intestino tenue e colon in modelli CIA dopo la deplezione batterica precoce mentre IL-23 ha inizialmente mantenuto una maggiore stabilità per poi seguire il trend di crescita delle altre due.

Interessante inoltre notare come IL-17A e IL-22 abbiano mostrato un importante riduzione nei tessuti intestinali di topi con antibiotico post-CIA rispetto agli altri gruppi CIA mentre IL-23 sia stata ridotta nel colon e nei linfonodi mesenterici. Il microbiota potrebbe perciò avere un impatto differente e tempo-dipendente nello sviluppo sia dell’infiammazione mucosale che della risposta immunitaria in risposta a CIA.

Per determinare se il supplemento antibiotico abbia o meno attività antinfiammatoria durante la fase di artrite precoce, sono stati usati modelli alternativi detti CAIA (collagen antibody-induced arthritis), creati attraverso la somministrazione di anticorpi anti-CII in seguito al trattamento antibiotico o con acqua di controllo.

La gravità della patologia non è risultata modificata dagli antibiotici dimostrando come da soli non siano in grado di portare benefici a livello infiammatorio ma di come il microbiota giochi in ruolo importante in questo aspetto.

La deplezione batterica altera la funzionalità degli autoanticorpi senza danneggiare gli isotipi IgG

Al fine di determinare i potenziali meccanismi di protezione dalla patologia, i ricercatori hanno verificato la funzionalità degli autoanticorpi CII sierici nell’attivare il complemento C3. Sorprendentemente, gli anticorpi anti-CII dei topi trattati con antibiotico post-CIA, a differenza degli altri due gruppi e dei controlli, non sono riusciti ad attivarlo.

Dall’analisi dei dati è stata perciò raggiunta la conclusione che le alterazioni batteriche indotte dal trattamento antibiotico dopo l’induzione di malattia comportano un importante cambiamento nel processo di glicosilazione accompagnato dalla riduzione della capacità di attivare il complemento.

Riassumendo le principali evidenze emerse da questo studio possiamo quindi affermare che:

  • disbiosi e infiammazione a carico della mucosa intestinale compaiono prima della manifestazione clinica della patologia artritica e continuano a evolversi durante il suo decorso;
  • la deplezione batterica precedente all’induzione di CIA porta a una riduzione di severità patologica di circa il 40% oltre che a limitare la produzione di citochine pro-infiammatorie e anticorpi anti-CII;
  • la deplezione batterica posticipata a una fase più avanzata di CIA porta a un decremento in termini di gravità della patologia di oltre il 90%. Sempre in questo gruppo, benché la sintesi di anticorpi anti-CII risulti modestamente ridotta, l’attivazione del complemento si è dimostrata ampiamente deficitaria a causa di un’alterazione del profilo di glicosilazione.

Come suggeriscono gli stessi autori, sono ora necessari ulteriori studi al fine di identificare con precisione le specie batteriche coinvolte, utili nel determinare un setting specifico sul quale intervenire in un’ottica di prevenzione della patologia artritica.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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