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Degenerazione maculare e uveite potrebbero aver origine nell’intestino

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Degenerazione maculare e uveite potrebbero aver origine nell’intestino

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Sempre più studi confermano come il microbioma intestinale sia attivamente coinvolto nello sviluppo e nel decorso di svariate malattie immunomediate come sclerosi multipla o artrite reumatoide. Meno conosciuto e approfondito è il panorama delle malattie oculari, sempre con base immunitaria.

Con lo scopo di raccogliere le principali evidenze disponibili a riguardo, Phoebe Lin ha condotto una revisione di letteratura, pubblicata su Current Opinion in Ophthalmology, focalizzandosi in particolare sull’uveite e la degenerazione maculare, descrivendo in che modo le alterazioni batteriche intestinali contribuiscano al loro sviluppo e come il microbioma stesso possa divenire un target terapeutico.

L’apporto degli studi collezionati è stato inoltre integrato con i risultati ottenuti dal suo stesso gruppo di lavoro.

Microbiota intestinale e uveite

Attraverso modelli murini di uveite è stato dimostrato come la gravità della patologia sia associabile alla presenza di particolari generi batterici quali Coprococcus, Dorea, Adlecreutzia e Desulfovibrio.

Di contro, l’uso combinato di antibiotici ad ampio spettro ha comportato benefici nel ridurre la sintomatologia, effetto non dimostrato dalla somministrazione singola.

In seguito alla deplezione batterica è stato inoltre rilevato un incremento nella presenza dei Treg (Regulatory T cells) in linfonodi extra-intestinali.

Risultati analoghi sono stati ottenuti da un altro gruppo di ricercatori i quali hanno evidenziato come, alterando il microbioma attraverso deplezione totale in modelli germ-free o con antibiotici, si riduca notevolmente la severità dell’uveite.

Si è poi visto come anche in una fase precoce di sviluppo della patologia, cioè prima dell’infiammazione oculare vera a propria, il microbioma risulti già leggermente compromesso e come sia incrementata l’espressione di zonulina, un marcatore di permeabilità intestinale.

A questo, entro la prima settimana, si accompagna un’iniziale cambio nella struttura morfologica delle cripte intestinali e della sottomucosa con conseguente aumento di alcuni peptidi antimicrobici e, successivamente, un incremento di determinate specie batteriche tra le quali Prevotella.

Parallelamente alla disbiosi si osserva un maggior scambio di leucociti fra il tratto gastrointestinale e l’occhio e di Th1 e Th17 tra intestino e milza. Il numero di leucociti oculari è infatti correlato alla gravità della condizione clinica.

L’implicazione del microbiota intestinale è ulteriormente supportata dal fatto che la somministrazione di SCFAs sembrerebbe portare benefici favorendo i Treg e riducendo lo scambio linfocitario con derivante controllo della risposta autoimmune.

Basandoci dunque sui dati raccolti in vivo, mantenere o ristabilire l’omeostasi intestinale sarebbe quindi una valida alternativa di prevenzione o trattamento dell’uveite.

Gli studi sono poi continuati sull’uomo, confermando i risultati precedentemente ottenuti.

Nonostante la loro disponibilità limitata, almeno fino ad oggi, si è visto come i pazienti con uveite presentino un microbiota intestinale distinto dai soggetti sani con una preponderanza di Fusobacterium e Enterobacteriaceae.

Microbiota intestinale e degenerazione maculare

Passando alla degenerazione maculare correlata all’età (AMD), ovvero una patologia poligenica a influenza ambientale, ma dall’eziologia non ancora del tutto chiara, è stato dimostrato come il supplemento orale di antiossidanti e carotenoidi contribuisca a rallentare la progressione della malattia.

Per entrambi, antiossidanti e carotenoidi, si ipotizza la capacità di alterare il microbiota intestinale nonostante questa opzione non risulti esser stata ancora testata.

Maggiori evidenze le si hanno invece nel confronto tra la composizione batterica di individui con ADM e controlli della stessa età.

Le differenze riscontrate sono molteplici tra le quali un aumento di espressione, anche in questo caso, di Prevotella accompagnato da una riduzione di Ruminococcaceae e Rikenellaceae nel gruppo con la patologia.

Microbioma, possibile target terapeutico per patologie oculari infiammatorie

Sono cinque le strategie terapeutiche a oggi formulate e che vedono il microbioma intestinale come bersaglio principale per trattare malattie in questo ambito clinico.

Okai et al. propone di individuare i batteri responsabili attraverso tecniche altamente selettive.

La messa a punto di particolari immunoglobuline dirette a specifici componenti o metaboliti di batteri che hanno dimostrato di esser coinvolti nel processo infiammatorio potrebbe infatti risolvere o alleviare la patologia senza danneggiare la totalità del microbioma.

Secondo Ochoa et al., invece potrebbe essere una valida alternativa la somministrazione di batteri vivi riconosciuti per promuovere l’omeostasi immunitaria attraverso la differenziazione dei Treg. Suggerisce inoltre l’uso di farmaci specifici per l’inibizione di vie metaboliche di particolari specie batteriche da sostituire ai correnti antibiotici ad ampio spettro.

Una quarta proposta terapeutica prevede inoltre la modificazione della dieta con un aumento di fibre che vadano fisiologicamente a favorire la sintesi di SCFAs protettivi.

Infine, anche il trapianto di microbiota fecale potrebbe rappresentare una valida risorsa considerando i risultati positivi già dimostrati, seppur considerando il diverso contesto clinico, nel trattamento dell’infezione da Clostridium difficile.

In conclusione, nonostante gli studi in particolare sull’uomo debbano esser incrementati per una maggiore qualità delle evidenze, in base ai dati disponibili possiamo affermare che agendo sul microbioma con determinati antibiotici o con metaboliti fisiologici (SCFAs), è possibile ridurre la severità dell’uveite ristabilendo l’omeostasi intestinale e immunitaria e che anche pazienti con degenerazione maculare correlata all’età presentano disbiosi intestinale.

La nostra componente batterica si dimostra essere dunque un valido target terapeutico per la risoluzione di patologie oculari autoimmuni, seppur in attesa di maggiori approfondimenti.

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