La tipologia di batteri presenti nell’intestino, abbinata al loro grado di espressione, sono fattori determinanti l’efficacia dell’immunoterapia in campo oncologico.
A dimostrarlo sono tre studi clinici, due americani e uno francese, pubblicati recentemente e in contemporanea su Science.
Complessivamente si è visto come esistano di fatto batteri “buoni” e batteri “cattivi” in relazione alla risposta o meno dell’organismo a terapie farmacologiche basate su inibitori del checkpoint immunitario, una branca farmacologica dell’immunoterapia.
Tuttavia, sono pochi i pazienti che traggono un beneficio completo da questa classe di farmaci mostrando una completa e rapida remissione del tumore. Molti di più sono i cosiddetti “non rispondenti”.
I ricercatori, suddivisi nei rispettivi team e basandosi su precedenti dati in vivo, si sono dunque interrogati sulle cause di questa differente efficacia clinica.
Descriviamo perciò nel dettaglio i tre studi, simili tra loro, ma ognuno con una sua peculiarità e risvolto interessante.
Farmaci immuno-oncologici, microbiota intestinale e melanoma
Nel primo studio, V. Gopalakrishnan e colleghi hanno collezionato campioni di microbiota orale e fecale di 112 pazienti con melanoma e in trattamento con anti PD-1 (programmed cell death 1 protein). I risultati principali sono stati ottenuti dalle analisi dei campioni fecali condotte tuttavia solo su 43 pazienti, 30 di questi rispondenti alla terapia vs 13 non rispondenti.
Dal confronto sono emerse notevoli discrepanze tra i due gruppi in termini di composizione e biodiversità batterica.
I rispondenti hanno difatti dimostrato una maggiore alpha diversity oltre che un buon grado di abbondanza relativa della famiglia Ruminococcaeae, entrambi in maniera statisticamente significativa. Dai dati di metagenomica inoltre sono risultate differenze funzionali che includono, sempre nei rispondenti, un arricchimento del processo anabolico e un profilo immunitario tale da supportare una risposta antitumorale sistemica. Da ultimo, trasferendo in topi germ-free il loro microbiota si è osservata analoga e positiva risposta terapeutica.
Il secondo studio, condotto dal gruppo di ricerca di Vyara Matson, si è maggiormente focalizzato sull’individuazione dei batteri “buoni” attraverso l’analisi del microbioma fecale di 89 pazienti anche in questo caso affetti da melanoma, ma rispondenti all’immunoterapia.
È stata quindi registrata una correlazione positiva tra risposta clinica e Bifidobacterium Longum, Collinsella aerofaciens ed Enterococcus faecium. Comparabilmente con lo studio descritto in precedenza, il trapianto di microbiota fecale in modelli germ-free ha determinato non solo una risposta terapeutica in vivo ma anche un aumento di attività delle cellule T.
Da ultimo, Bertrand Routy e il suo team hanno verificato l’influenza di una somministrazione antibiotica strettamente antecedente a quella di immunoterapici anti-PD1. La disbiosi indotta dagli antibiotici ha inibito l’efficacia del trattamento oncologico. Dalle analisi di metagenomica inoltre si è vista una correlazione positiva tra Akkermansia munichipila ed efficacia degli anti-PD1.
A prova di ciò, successivamente al trapianto di microbiota fecale da soggetti non rispondenti in topi germ-free, il supplemento orale con lo stesso ceppo, Akkermansia muciniphila, ha rinstaurato l’efficacia clinica attraverso la promozione di attività linfocitaria.
Complessivamente le evidenze qui proposte suggeriscono come sia dunque fondamentale preservare o, in caso, correggere, la fisiologia del microbioma intestinale al fine di ottenere i maggiori vantaggi terapeutici anche in un campo aperto e ancora in divenire come quello dell’immunoterapia.
Fonti:
University of Chicago, Chicago (USA)
The University of Texas MD Anderson Cancer Center, Houston (USA)
Gustave Roussy Cancer Campus (GRCC), Villejuif (USA)