C’era una volta una particolare Cenerentola che oggi non risiede più nei sottoscala, ma nel castello. È la storia del microbioma e del suo ruolo in oncologia, ormai sempre più delineato come hanno dimostrato gli studi presentati nel corso di ESMO 2019 (European Society for Medical Oncology).
E rispetto alle prime ricerche, oggi i risultati sono tali da permettere agli oncologi di avere già delle informazioni da applicare nella pratica quotidiana.
Un passo avanti importante, ed è stato evidenziato da Lisa Derosa, oncologa e ricercatrice del Gustave Roussy Cancer Campus presso l’università di Parigi Saclay, specializzata proprio in ricerca sul microbioma intestinale.
Nel corso della sua relazione infatti, sono stati presentati i dati relativi a pazienti con tumori solidi che stavano seguendo l’immunoterapia: gli esiti peggiori sono stati evidenziati in chi aveva assunto antibiotici.
Non solo. Dai numeri è emerso anche che le cure antibiotiche modificano il microbioma e riducono l’effetto dei farmaci immunoterapici se vengono assunti anche in anticipo rispetto all’inizio della terapia: il rischio sembra scattare a partire da 30 giorni prima.
Professoressa Derosa, come siete arrivati a questi risultati?
«Il nostro centro lavora da anni sul microbioma: le ricerche su modelli murini avevano evidenziato l’influenza dell’antibioticoterapia sull’efficacia di alcuni farmaci immunoterapici e in particolare su quelli che agivano sui recettori CTLA-4. Da lì le indagini sono continuate allargando il campo anche agli anti PDL1 e ai trattamenti più moderni. Grazie a questi primi studi sui topo abbiamo potuto spostare le osservazioni sui pazienti e dall’analisi retrospettiva relativa all’uso di antibiotici abbiamo evidenziato che c’è un rapporto tra antibiotici, disbiosi e riduzione dell’effetto dell’immunoterapia».
La relazione che ha tenuto a ESMO era focalizzata sul tumore del polmone: ci saranno altri sviluppi?
«Lo studio prospettico sul tumore del polmone è stato il mattone di una casa in costruzione. In quel caso abbiamo raccolto campioni fecali da tutti i nostri pazienti che dovevano iniziare l’immunoterapia, confrontando diverse signature tumorali. Così, abbiamo scoperto che la presenza in alcuni del batterio Akkermansia muciniphila è associato a esiti migliori dell’immunoterapia e allo stesso risultato sono arrivati anche altri gruppi di ricerca nel mondo.
Il microbioma aiuterà a definire chi risponderà meglio all’immunoterapia, ma è un lavoro complesso
Non è l’unico, però. Sono stati rilevati 35 batteri diversi tra responder e non responder. Il microbioma di certo aiuterà a definire chi risponderà meglio all’immunoterapia ma è un lavoro complesso. Il progetto Oncobiome, frutto di un consorzio guidato dal Gustave Roussy, punta ad analizzare le feci con le scienze omiche, proprio per individuare i pazienti responder».La ricerca è solo sul tumore del polmone?
«No, il progetto è più ampio e comprende anche altri tipi di tumore. Per esempio, stiamo raccogliendo campioni da pazienti con carcinoma renale, con melanoma e in generale con uno dei tumori candidati all’immunoterapia. Ci stiamo anche concentrando sul tumore della prostata, che fa parte delle forme definite “fredde”, così chiamate perché non sono reattive all’immunoterapia. L’idea è di vedere se c’è una signature particolare per questo tipo di tumore e se la modifica del microbiota può essere una strategia che permetta un cambio nella terapia. C’è in corso infine uno studio sul tumore del seno. In questo caso l’analisi del microbiota viene effettuata nelle donne in trattamento neoadiuvante, per capire se c’è una relazione con la chemioterapia.
Si delinea sempre di più la pillola che potrebbe sostituire il trapianto fecale: a che punto siamo?
«Sono lavori in corso anche da noi. L’dea è di trovare un batterio o un consorzio di batteri che possono essere somministrati sotto forma di pillola, in aggiunta all’immunoterapia oppure ad altre strategie terapeutiche. Quello che dobbiamo ancora validare è se può essere la medesima formulazione per tutti, oppure se deve essere personalizzata in base al tipo di tumore che andiamo a trattare. Ma è ancora presto per dirlo».
Cinzia Testa