L’uso di antibiotici nell’uomo e negli allevamenti di animali da reddito è salito alle stelle negli ultimi decenni. Un nuovo studio ha scoperto che questo aumento ha portato anche a una maggiore diffusione dei geni per la resistenza antimicrobica negli animali selvatici.
Ma c’è un motivo per sperare: lo studio, condotto in Svezia, ha rilevato anche una tendenza al ribasso nella diffusione della resistenza antimicrobica dopo che sono state messe in atto politiche nazionali per controllare l’uso di antibiotici.
I risultati, pubblicati su Current Biology, evidenziano in particolare come il microbiota di animali vissuti in epoche passate potrebbe essere utilizzato per monitorare i cambiamenti ambientali.
Batteri resistenti agli antibiotici
Centinaia di migliaia di persone muoiono ogni anno a causa di infezioni da agenti patogeni resistenti agli antibiotici attualmente disponibili.
Sia i farmaci antimicrobici sia i microrganismi resistenti possono diffondersi nell’ambiente attraverso gli impianti di trattamento delle acque reflue e colonizzare gli animali selvatici.
Quantomeno in teoria: al momento non sappiamo in che modo e in che misura i geni della resistenza agli antibiotici sia diffusa e si sia evoluta nella fauna selvatica.
Per rispondere a questa domanda, un gruppo di ricercatori guidati da Jaelle Brealey e Katerina Guschanski della Uppsala University hanno analizzato campioni di placca dentale calcificata prelevati da 57 esemplari di orso bruno svedese conservati nel Museo Svedese di Storia Naturale di Stoccolma.
Dal momento che il DNA batterico presente nella placca dentale calcificata può rimanere invariato per secoli, i ricercatori hanno potuto analizzare il microbiota orale di orsi vissuti fino a 180 anni fa.
Così si diffonde l’antibiotico-resistenza
Il team di ricercatori ha scoperto che i livelli di geni che conferiscono resistenza agli antibiotici sono aumentati dagli anni ’50 agli anni ’90, rispecchiando l’aumento dell’uso di antibiotici in Svezia.
La resistenza antimicrobica ha iniziato a diminuire dopo che nel 1986 è stato vietato l’utilizzo di antibiotici in agricoltura e che nel 1995 è stata messa in atto una politica nazionale contro l’abuso di antibiotici nella pratica medica.
I batteri che vivono nella bocca degli orsi nati dopo il 1995 mostrano una resistenza antimicrobica inferiore rispetto ai microbi orali di animali più anziani.
Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che i livelli di geni di resistenza agli antibiotici nel primo gruppo di animali sono maggiori rispetto a quelli rilevati negli orsi vissuti prima che l’uomo iniziasse a produrre antibiotici in serie negli anni ’50.
«In Svezia l’abbondanza di geni di resistenza antimicrobica riflette l’utilizzo degli antibiotici» spiega Jaelle Brealey.
«Inoltre, nei campioni più recenti è stata rilevata una maggiore diversità nei geni di resistenza agli antibiotici, probabilmente a causa dei diversi tipi di antibiotici utilizzati dall’uomo».
Ridurre l’uso di antibiotici funziona
Gli orsi bruni scandinavi di solito vivono lontano dall’uomo, ma a volte gli animali si avvicinano a villaggi e città.
Inaspettatamente, i ricercatori hanno scoperto che negli orsi vissuti in aree remote i livelli di geni di resistenza agli antibiotici erano simili rispetto agli animali ritrovati nei pressi di insediamenti umani.
«Ciò suggerisce che la contaminazione ambientale con batteri resistenti e antibiotici è diffusa», afferma Katerina Guschanski.
Tuttavia, i risultati indicano anche che la diffusione di batteri resistenti agli antibiotici nell’ambiente può essere ridotta controllando e regolando l’uso di questi farmaci.
«Il nostro studio suggerisce infatti che l’uomo può avere un impatto diretto, sia negativo sia positivo, su diverse comunità microbiche, comprese quelle associate agli animali selvatici e che le politiche nazionali che limitano l’uso di antibiotici in medicina e in agricoltura possono aiutare a mitigare la diffusione della resistenza antimicrobica», conclude la ricercatrice.