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Dieta paleolitica e microbiota intestinale: effetti negativi sul lungo periodo

La dieta paleolitica sembrerebbe alterare il microbiota senza portare benefici all'intestino. Ecco cosa dice una recente pubblicazione.
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Dieta paleolitica e microbiota intestinale: effetti negativi sul lungo periodo

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In questo articolo

Stato dell’arte
Alla dieta paleolitica sono stati attribuiti benefici per la salute intestinale. Le evidenze a riguardo sono però scarse.

Cosa aggiunge questo studio
Lo studio verifica l’eventuale associazione tra dieta, salute batterica intestinale (colonizzazione e struttura del microbiota) e cardiometabolica.

Conclusioni
A lungo andare (per periodi superiori a 1 anno), l’adesione alla dieta paleolitica comporta non solo alterazioni batteriche intestinali, ma anche l’innalzamento dei valori di TMAO con peggioramento del quadro cardiovascolare.


A differenza di quanto sostengono coloro che la praticano e/o la consigliano, la dieta paleolitica a lungo andare non sembrerebbe portare benefici al nostro intestino. È infatti stata osservata una significativa alterazione del microbiota intestinale, accompagnata da un innalzamento dei valori sierici di TMAO, un metabolita associato a disturbi cardiometabolici.

Lo sostiene lo studio coordinato da Angela Genoni della Edith Cowan University (Australia), recentemente pubblicato su European Journal of Nutrition.

La dieta paleolitica si basa sull’apporto esclusivo di prodotti derivanti dalle attività dell’uomo paleolitico (da cui il nome) ossia la caccia, la pesca e la raccolta. Ammessi dunque carne, pesce, molluschi, uova, bacche, frutta e verdura. Da evitare invece tutti i prodotti di agricoltura e allevamento come cereali, latte e derivati, legumi, olio, cibi processati ecc., dato che, secondo i suoi sostenitori, il genoma umano non si sarebbe adattato al loro consumo.

Dal punto di vista nutrizionale si tratta quindi di una dieta ricca di proteine animali e povera di proteine vegetali, carboidrati e fibre. Nonostante un loro scarso consumo abbia dimostrato un peggioramento della salute cardiovascolare, tra i benefici attribuiti alla dieta paleolitica troviamo quelli per la salute intestinale. Evidenze scientifiche a riguardo sono però ancora molto scarse.

Con lo scopo di approfondire questo aspetto, i ricercatori australiani hanno quindi confrontato la salute del microbiota intestinale e quella cardiovascolare in soggetti in dieta paleolitica per più di un anno (n=44) vs soggetti a regime alimentare standard (n=47).

I 44 soggetti che seguivano la dieta paleolitica sono stati ulteriormente suddivisi nel gruppo in regime paleo-stretto (n=22, PS) e pseudo-paleo (n=22, PP) a seconda dell’introito quotidiano di cibi “non ammessi” (rispettivamente più o meno di una razione/die). Di seguito i risultati ottenuti dall’analisi dell’introito nutritivo (diari alimentari), della situazione cardiovascolare (campioni ematici con monitoraggio di colesterolo, HDL e trimetil-ammina-N-ossido o TMAO) e delle caratteristiche batteriche (campioni fecali).

Apporto nutritivo della dieta paleolitica

Confrontando l’apporto nutritivo medio dei tre gruppi è emerso che:

  • l’introito totale di fibre del gruppo PS non si discosta molto da quello dei controlli; inferiori invece i livelli di fibre dei soggetti del gruppo PP
  • la frazione amido-resistente è notevolmente inferiore in entrambi i gruppi paleo
  • l’apporto di fibre è risultato inversamente associato al peso corporeo e alla circonferenza addominale
  • la quota proteica ha mostrato livelli maggiori nel gruppo SP, quella di grassi anche nel PP
  • il consumo di grassi dei gruppi paleo ha registrato valori doppi rispetto a quelli raccomandati.

Considerando poi il metabolismo fecale, nessuna differenza significativa è emersa tra i livelli di escrezione fecale di SCFAs, nonostante siano risultati associati all’apporto di fibre e verdura. Anche la produzione e la consistenza delle feci si è mostrata paragonabile.

Salute cardiovascolare a rischio

Dall’analisi dei parametri biochimici è stato osservato che:

  • il colesterolo totale è significativamente più elevato nel gruppo PP rispetto ai controlli
  • i valori di HDL sono maggiori in entrambi i gruppi paleo rispetto ai controlli
  • l’apporto di carboidrati è risultato negativamente correlato alla concentrazione di colesterolo totale
  • il gruppo SP ha registrato livelli di TMAO significativamente più elevati dei controlli
  • la concentrazione di TMAO ha mostrato un’associazione positiva con il consumo di carne rossa,negativa con quello di cereali grezzi.

Ecco come cambia il microbiota intestinale

Infine, considerando il profilo batterico i ricercatori hanno collezionato un dataset con 410 OTUs, osservando che:

  • sia a livello di phylum sia di genere, diversità e ricchezza batterica sono risultate comparabili in tutti i gruppi
  • l’analisi PERMANOVA di ricchezza e diversità condotta a livello di genere considerando età, sesso, apporto energetico e percentuale di grasso corporeo ha di contro sottolineato differenze significative tra il gruppo PS e i controlli e tra PP e i controlli, da attribuire in particolare a Bifidobacteria, Roseburia e Hungatella
  • sono presenti differenze in termini di composizione a livello di phyla tra controlli e gruppo PP e tra PS e PP (non tra PS e controlli) a carico prevalentemente di Bacteroidetes, Firmicutes e Verrucomicrobia
  • il rapporto Bacteroidetes:Firmicutes ha dimostrato un’associazione con il peso corporeo
  • l’apporto di verdure, cereali grezzi, carboidrati e grassi ha mostrato di influenzare la composizione batterica. L’abbondanza relativa di Hungatella, per esempio, ha registrato un’associazione negativa e lineare con il consumo di grano e proteine. Anche i livelli di Roseburia e Bifidobacteria sono risultati influenzati dall’introito di grano e carboidrati in generale.

La dieta paleolitica non sembrerebbe quindi avere un effetto positivo per il nostro microbiota intestinale né per la salute cardiovascolare. Ulteriori approfondimenti sono però necessari.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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