L’elevato e prolungato consumo di carni rosse comporta sia l’alterazione della popolazione batterica intestinale, in particolare di Bacteroidales e Clostridiales, sia un maggior rischio di patologie infiammatorie principalmente mediate dall’acido N-glicolneuraminico (Neu5Gc). L’espressione di specifici enzimi idrolitici (sialidasi) da parte di determinati ceppi batterici sembrerebbe permettere il rilascio di Neu5Gc dal cibo, prevenendo la sua incorporazione nel tessuto del colon e, di conseguenza, lo sviluppo dell’infiammazione.
È quanto si può riassumere dallo studio di Livia S. Zaramela e colleghi della University of California, di recente pubblicazione su Nature Microbiology.
È stata da tempo dimostrata l’associazione dell’alimentazione con alterazioni del microbiota intestinale e la salute dell’ospite. In particolare, è stato osservato che l’abituale consumo di carni rosse è in grado di favorire processi infiammatori correlati alla presenza di Neu5Gc, un glicano dell’acido sialico non sintetizzato dall’uomo e perciò non riconosciuto dal nostro sistema immunitario. Questo metabolita può essere sia incorporato nei tessuti dell’ospite durante la digestione, quelli tumorali soprattutto, sia essere utilizzato come fonte energetica da alcuni batteri, se circolante in forma libera. Un aumento intestinale di acidi sialici sembrerebbe inoltre indurre disbiosi. Il metabolismo di Neu5Gc e l’eventuale capacità batterica di idrolizzarlo dalle carni rimangono però ancora poco chiari.
Per approfondire tale aspetto, i ricercatori americani hanno condotto esperimenti in vivo e test clinici e di biochimica computazionale. Di seguito i passaggi fondamentali.
Considerando l’importanza degli acidi sialici nell’equilibrio microbiota-ospite, sono stati prelevati campioni fecali dal colon di modelli murini non in grado di sintetizzare Neu5Gc (Cmah -/-) e alimentati rispettivamente con:
- una dieta a base di soia e perciò priva di acidi sialici (gruppo soia)
- un elevato apporto di Neu5Gc da suino (gruppo PSM)
- un elevato apporto di un altro acido sialico, l’N-acetilneuraminico (gruppo Neu5Ac).
Altri topi wild-type (WT) sono stati usati come controllo.
Dai dati ottenuti è emerso che:
- i genotipi batterici dei modelli Cmah-/- e WT sono risultati significativamente differenti, indicando come Neu5Gc impatti notevolmente sulla composizione del microbiota
- nel gruppo Cmah-/- i cambiamenti della comunità batterica sono risultati dieta-dipendenti e soprattutto a carico di Bacteroidales e Clostridiales
- il sottogruppo PSM ha mostrato una minor diversità batterica, sebbene il profilo tassonomico a livello di famiglia sia risultato comparabile in tutti e tre i gruppi
- a livello di genere, Helicobacter, Intestinimonas e Candidatus Saccharibacteria genera incertae sedis hanno mostrato un’abbondanza significativamente maggiore nel gruppo Neu5Ac rispetto al PSM. Di contro, Bacteroides, Barnesiella, Clostridium gruppo III, Parabacteroides, Roseburia e Turicibacter sono risultati maggiormente espressi nel gruppo PSM rispetto al Neu5Ac.
Dalla simulazione computazionale di 773 modelli metabolici basati su commensali dell’intestino umano, membri di Bacteroidetes (quali Bacteroides fragilis, Bacteroides cacae e Bacteroides thetaiotaomicron) sono risultati i maggiori utilizzatori di acidi sialici come fonti di carbonio. Un approccio di metagenomica combinato è stato perciò applicato per individuare i meccanismi che stanno alla base di questo processo metabolico:
- 21 forme di enzimi dieta-dipendenti implicati nell’idrolisi di acidi sialici, le sialidasi, sono risultate dal “binning metagenomico” ossia il processo di raggruppamento di letture o segmenti di DNA sovrapposti (i contigs) che insieme rappresentano una regione di DNA del consenso e assegnarli a determinati OTUs
- il prodotto di binning metagenomico 13 o “Bin13”, comprensivo di sialidasi 23, sialidasi 24, sialidasi 26, sialidasi 60 e sialidasi 65, sembrerebbe quello maggiormente implicato nel metabolismo intestinale di Neu5Gc, in quanto molto più rappresentato nel gruppo PSM.
Mediante cristallografia a raggi X è stata poi indagata la struttura di sialidasi 26, l’isoforma più attiva nell’idrolisi di Neu5Gc, al fine di delinearne il meccanismo d’azione.
Benché i tratti strutturali principali siano risultati conservati, sialidasi 26 sembrerebbe aver perso la capacità di stabilire interazioni stabili con gli acidi sialici a causa di sostituzioni aminoacidiche. Tali mutazioni sembrerebbero determinare una maggiore affinità di sialidasi 26 a Neu5Gc rispetto a Neu5Ac, al contrario delle restanti sialidasi.
Volendo quindi verificare sull’uomo i risultati ottenuti, i ricercatori hanno analizzato il profilo metagenomico fecale di una tribù isolata della Tanzania, gli Hadza, caratterizzati da una dieta “stagionale” basata su carne e tuberi durante il periodo secco, su miele e bacche durante quello piovoso. Dai dati ottenuti è emerso che:
- Bin13 ha mostrato un’abbondanza significativamente maggiore durante il periodo secco
- la combinazione metagenomica ha mostrato la presenza di 24 bins contenenti 51 geni codificanti per sialidasi
- BinHz19 ha mostrato abbondanza similare in entrambi i periodi
- sialidasiHz136, inclusa in binHz19, ha registrato un’elevata similarità di sequenza e struttura con sialidasi 26, precedentemente identificata nei modelli murini, suggerendo la presenza di enzimi sialidasi analoghi in altre specie di mammiferi. Anche in questo caso, è emersa una preferenza di attività per Neu5Gc, sebbene sembrerebbe essere coinvolta anche nel metabolismo di altri glicani.
Da ultimo, sia sialidasi 26 sia sialidasiHz 136 sono risultate in grado di scindere Neu5Gc dal cibo, suggerendo un possibile utilizzo di batteri esprimenti tali enzimi nella prevenzione di processi infiammatori mediati proprio da Neu5Gc. Ulteriori approfondimenti sono tuttavia necessari al fine di confermare questi risultati, nonché ottimizzare un intervento a base di pre- e probiotici sull’uomo.