La resistenza agli antibiotici è una delle minacce più gravi per la salute pubblica, poiché le opzioni di trattamento per le infezioni causate da batteri resistenti stanno diventando sempre più limitate.
Di recente, un gruppo di ricercatori ha scoperto l’intestino dei viaggiatori internazionali può essere “colonizzato” da batteri contenenti geni che conferiscono resistenza agli antibiotici e possono così portarli nel loro Paese d’origine.
I risultati, pubblicati su Genome Medicine, suggeriscono che i viaggi internazionali rappresentano un importante fattore di rischio per la salute pubblica in quanto favoriscono la diffusione globale della resistenza agli antibiotici.
Scoperti nuovi geni dell’antibiotico resistenza
«Anche prima della pandemia di COVID-19 sapevamo che i viaggi internazionali contribuiscono al rapido aumento globale della resistenza antibiotica e alla sua diffusione», afferma il co-autore dello studio Alaric D’Souza.
«Ma la novità è che abbiamo trovato numerosi geni completamente nuovi associati alla resistenza agli antibiotici che in futuro potrebbero causare problemi di salute pubblica».
È stato già dimostrato che i viaggiatori internazionali possono acquisire geni di resistenza agli antibiotici e portarli nei loro Paesi d’origine, ma in che misura i viaggi influenzino la diffusione della resistenza agli antibiotici è ancora poco chiaro.
Per rispondere a questa domanda, Gautam Dantas della Washington University, John Penders della Maastricht University e i loro colleghi hanno analizzato il microbiota intestinale di 190 adulti olandesi prima e dopo il viaggio in Asia sud-orientale, Asia meridionale, Nord Africa e Africa orientale.
Tutte queste regioni hanno un’alta prevalenza di resistenza agli antibiotici.
Nel microbiota intestinale “ospiti” non graditi
I ricercatori hanno rilevato nel microbiota intestinale dei viaggiatori internazionali che hanno partecipato allo studio un totale di 121 geni di resistenza agli antibiotici, alcuni dei quali non erano mai stati identificati prima.
Inoltre, i ricercatori hanno osservato un aumento del numero di geni di resistenza agli antibiotici nei campioni di feci raccolti una volta che i viaggiatori erano tornati.
Tra questi erano inclusi alcuni geni che conferiscono resistenza ad antibiotici comuni, altri a farmaci antimicrobici usati quando altri antibiotici non sono più efficaci.
La diversità dei geni di resistenza agli antibiotici presenti nel microbiota è risultata alta nei viaggiatori internazionali: i ricercatori hanno identificato 56 diversi geni di resistenza agli antibiotici acquisiti durante il viaggio.
Questa diversità è risultata più alta negli individui che tornavano dal Sud-est asiatico. In particolare, l’analisi ha mostrato che i viaggiatori hanno acquisito geni di resistenza agli antimicrobici proprio nei luoghi in cui si sono recati.
Per esempio, un gene che conferisce resistenza alla colistina (un antibiotico che viene utilizzato in ultima istanza per il trattamento di infezioni che causano polmonite e meningite) è stato identificato solo in individui che si sono recati nel Sud-est asiatico.
In un mondo globalizzato serve un approccio globale
Il team di ricercatori ha osservato che anche i campioni di feci prelevati prima del viaggio contenevano alcuni geni di resistenza agli antimicrobici; esiste quindi la possibilità che i viaggiatori diffondano geni di resistenza nei luoghi in cui si recano durante i loro viaggi.
Capire come i geni della resistenza antimicrobica si diffondono a livello globale potrebbe quindi indirizzare le politiche di salute pubblica per prevenire un’ulteriore diffusione.
«È fondamentale affrontare la resistenza antimicrobica nei Paesi a basso reddito e bassi fondi per la salute pubblica, anche perché sono quelli in cui si sviluppano infezioni sempre più resistenti a diversi trattamenti antibiotici», afferma D’Souza.
«Questo approccio globale potrebbe non solo aiutare questi Paesi, ma potrebbe anche giovare ad altri riducendo la diffusione internazionale dei geni di resistenza».