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Il deficit di vitamina D3 aumenta la predisposizione a una vasta gamma di patologie acute e croniche, quali malattie cardiovascolari, osteoporosi, neoplasie, disordini autoimmuni, malattie infettive e condizioni neurologiche. Pertanto, alimenti arricchiti in vitamina D sono sempre più diffusi. Ma il suo assorbimento può non essere sempre ottimale.
Cosa aggiunge questo studio
Sulla base delle caratteristiche lipofile della vitamina D e del ruolo di specifici batteri nella solubilizzazione di nutrienti, i ricercatori hanno analizzato la capacità di ceppi batterici appartenenti alla famiglia delle Lactobacillaceae di aumentare i livelli plasmatici della vitamina D.
Conclusioni
La co-somministrazione di L. paracasei DG con vitamina D in forma oleosa potrebbe contribuire a mantenerne adeguati livelli sierici di quest’ultima in persone a rischio di carenza.
La co-somministrazione congiunta di Lacticaseibacillus paracasei DG e vitamina D3 aumenta i livelli sierici del metabolita attivo 25(OH)D in modelli murini. Tale associazione potrebbe essere utile nel contrastare il rischio carenziale così diffuso.
Lo conclude uno studio tutto italiano condotto dall’università di Padova in collaborazione con l’università di Milano, di recente pubblicato su Annals of Microbiology.
Vitamina D: cosa succede in caso di carenza
La vitamina D è un nome generico per un gruppo di 5 pro-ormoni liposolubili tra i quali si riconoscono i noti ergocalciferolo (D2) e colecalciferolo(D3).
Metabolizzati dal fegato si trasformano, ad esempio in 25-idrossivitamina D o (25(OH)D), la principale forma circolante di vitamina D e, successivamente, viene trasformata nella forma bioattiva (1-25OH) a livello renale.
È essenziale per molti processi, dall’omeostasi ossea, alla modulazione dell’immunità, alla regolazione della proliferazione cellulare.
Inoltre, un suo deficit, peraltro molto diffuso, vede implicazioni in patologie cardiovascolari, neurologiche, autoimmuni ecc.
La sintesi cutanea rappresenta la principale fonte di vitamina D per l’organismo, ma dipende in maniera significativa dall’esposizione solare del singolo individuo.
Considerata la scarsità di alimenti ricchi di vitamina D, il consumo di alimenti arricchiti, farmaci o integratori può essere necessario per mantenere adeguati livelli sierici di 25-idrossivitamina D, che è la principale forma circolante di vitamina D.
La sua disponibilità per l’organismo non dipende però soltanto da quanta se ne introduce.
Infatti, l’assorbimento della vitamina D può variare considerevolmente a seconda di una varietà di fattori come la forma molecolare della vitamina ingerita, la composizione del cibo co-ingerito, l’interazione con altri composti liposolubili, le secrezioni biliari, l’integrità della parete intestinale, il pH luminale gastrointestinale, e fattori associati (età, stato infiammatorio, obesità).
Tra questi ultimi, è importante considerare anche la presenza di malattie caratterizzate da malassorbimento, tra cui IBD, epatopatie, malattia celiaca, condizioni accomunate, tra l’altro, da un’alterazione della flora batterica intestinale.
Dunque, l’interesse nel trovare formulazioni e associazioni con un migliore assorbimento è molto alto.
Un aiuto per rendere questo micronutriente essenziale ancora più al servizio del nostro organismo potrebbe venire da particolari ceppi batterici in grado di interagire con sostanze lipidiche aumentando, per esempio, la sua solubilità.
Si è andati, pertanto, a valutare la sua interazione con determinati probiotici, che, in virtù di alcune proprietà intrinseche, potrebbero non solo favorire l’equilibrio della flora batterica intestinale, ma anche creare le condizioni tali da consentire un migliore assorbimento della vitamina D.
Lo studio sui probiotici
A tal proposito, i ricercatori, partendo dal presupposto che la vitamina D è liposolubile e che i batteri lattici possono avere proprietà tensioattive, hanno ipotizzato in che modo questi ultimi potrebbero contribuire a migliorare la solubilità della vitamina D.
Per questo motivo hanno testato, in vitro, sei ceppi batterici appartenenti alla famiglia delle Lactobacillaceae per verificare se potessero migliorare la biodisponibilità della vitamina D: L. paracasei DG, L. paracasei LPC-S01, L. paracasei Shirota, L. rhamnosus GG, L. reuteri DSM 17938 e L. acidophilus LA5.
I risultati dello studio
I risultati hanno evidenziato un aumento significativo di colecalciferolo nella fase acquosa solo per i ceppi di L. paracasei DG e, in maniera meno marcata, L. rhamnosus GG. In particolare, le cellule di L. paracasei DG hanno mostrato una maggiore capacità di solubilizzazione rispetto agli altri ceppi testati.
Tale effetto sembra essere ceppo-specifico, dal momento che la capacità di solubilizzazione della vitamina D3 è risultata trascurabile per gli altri due ceppi della stessa specie.
È stato quindi selezionato il ceppo DG per le successive osservazioni in vivo.
L. paracasei DG aumenta la biodisponibilità della vitamina D
I ricercatori hanno quindi verificato in vivo la capacità del probiotico di aumentare la biodisponibilità di vitamina D.
Per farlo, è stata somministrata a un gruppo di topi una preparazione commerciale di colecalciferolo in olio d’oliva con o senza l’aggiunta di L. paracasei DG misurando poi la concentrazione del metabolita circolante (25(OH)D). Un gruppo senza entrambi i supplementi è stato utilizzato come controllo, registrando livelli di 25(OH)D tra 36-71 ng/ml.
I risultati ottenuti hanno mostrato che, quando L. paracasei DG (108 CFU) è stato somministrato in combinazione con la vitamina D3 una volta al giorno per 1 settimana, la concentrazione sierica di 25(OH)D è risultata compresa tra 84 e 89 ng/ml, il che corrisponde in media a un aumento rispettivamente del 50% rispetto al gruppo di controllo, del 62% rispetto alla sola somministrazione di vitamina D3 per 1 settimana e del 55% rispetto alla sola somministrazione di cellule di L. paracasei DG.
Conclusioni
I risultati di questo studio preliminare pre-clinico suggeriscono che la somministrazione combinata di cellule di L. paracasei DG con colecalciferolo può contribuire al mantenimento di adeguati livelli sierici di 25-idrossivitamina D in gruppi di popolazione a rischio di carenza di vitamina D.
Contenuto realizzato con il contributo incondizionato di SOFAR S.p.A.