Secondo un nuovo studio, le terapie cognitivo comportamentali potrebbero svolgere un ruolo importante nel trattamento dell’intestino irritabile. E la “chiave” di questo collegamento sembra essere il cosiddetto asse intestino cervello.
IBS e terapie cognitivo comportamentali
La sindrome del colon irritabile è caratterizzata da dolore addominale ricorrente associato a un’alterata regolarità intestinale, senza alcuna evidente patologia gastrointestinale strutturale, infiammatoria, immunologica o biochimica.
I sintomi possono essere molto variabili tra i pazienti, difficili da interpretare e da curare. Inoltre è correlata ad alterazioni a livello cerebrale.
Ed è proprio a partire dall’esistenza, confermata in numerosi studi, dell’asse che collega l’intestino al cervello, e viceversa, ha consentito di testare la terapia cognitivo-comportamentale per la cura di dell’IBS.
Un gruppo di ricercatori di Los Angeles ha quindi pensato di valutare l’abbondanza relativa e le funzioni del microbiota intestinale, l’imaging cerebrale multimodale e alcuni marker clinici per dimostrare due ipotesi principali:
- i parametri cerebrali e/o del microbiota al baseline sono in grado di predire i risultati del trattamento psicologico?
- L’efficacia del trattamento è associata a una alterazione di tali parametri?
Asse intestino cervello: cosa emerge dallo studio
I soggetti che hanno risposto positivamente alla terapia cognitivo comportamentale hanno mostrato, rispetto ai non responder:
- al basale: livelli di serotonina più elevati e, nelle feci, Clostridiales più abbondanti e Bacteroides meno abbondanti;
- dopo il trattamento: alcune modifiche a livello del sistema nervoso, quali una diminuzione della connettività tra più regioni associate a reti cerebrali specifiche, comprese reti sensomotorie, del tronco encefalico, delle regioni correlate alla salienza, nella sostanza bianca, nei gangli della base e in altre strutture. In aggiunta, tali cambiamenti sono stati correlati a quelli del microbiota, tra cui un aumento dei Bacteroides.
Tali risultati, illustrati su Microbiome, sono molto promettenti dal momento che un gran numero di studi supporta la presenza di alterazioni nelle strutture citate e nelle abbondanze relative di taxa microbici in pazienti con IBS, compreso una ricerca recente che dimostra un’associazione di specifiche alterazioni microbiche intestinali con differenze nei volumi di materia grigia nelle regioni sensoriali e correlate alla salienza.
Inoltre, per determinare in che misura i marker al baseline del microbioma, clinici o cerebrali predicessero la risposta CBT (stato di risposta/non risposta) sono stati creati dei classificatori andom forests ed è stato visto che soltanto il classificatore costruito sul microbioma, collegato a 11 microrganismi, è risultato essere in grado di prevedere una risposta della CBT con elevata precisione (area sotto la curva caratteristica di funzionamento del ricevitore, AUROC, uguale a 0,96).
Per fare tutto questo, sono stati raccolti i campioni fecali, prima e dopo il trattamento, di 34 soggetti sottoposti a CBT per il sequenziamento del gene 16S rRNA, l’analisi del metaboloma non mirata e la misurazione degli acidi grassi a catena corta (SCFAs).
Le misure cliniche, la connettività e la microstruttura funzionale del cervello e le caratteristiche del microbioma associate alla risposta cognitivo comportamentale sono state identificate da modelli binomiali multivariati lineari e negativi.
Tra responders e non, non sono state trovate differenze tra i parametri clinici e comportamentali dopo terapia cognitivo comportamentale, bensì differenze al baseline lievi nella connettività funzionale e significative tra le abbondanze relative di microrganismi intestinali, suggerendo che i segnali periferici del microbiota possono modulare i processi centrali interessati dalla CBT che generano sintomi addominali nell’IBS.
Si può ipotizzare, quindi, che i responder alla terapia cognitivo comportamentale hanno, rispetto ai non responder, condizioni preesistenti nei componenti centrali e periferici dell’asse intestino-cervello che conferiscono una maggiore sensibilità agli effetti della CBT sulla sintomatologia gastrointestinale.
Conclusioni
In conclusione, tali risultati supportano il concetto che anche se la terapia cognitivo comportamentale è considerata un trattamento per la cura di particolari condizioni psicologiche, induce cambiamenti dei sintomi enterici che possono verificarsi attraverso la modulazione delle interazioni intestino-cervello che influenzano la fisiopatologia dell’IBS e la generazione dei sintomi intestinali.