Un nuovo studio, pubblicato su Science, mostra che molti microbi intestinali si sono evoluti insieme ai loro ospiti umani.
Capire quali microbi sono specifici per una determinata popolazione e come influenzano i disturbi mediati dal microbiota potrebbe aiutare a sviluppare trattamenti su misura per ciascuna popolazione.
Coevoluzioni differenti
Precedenti studi hanno dimostrato che popolazioni diverse presentano nel loro microbiota intestinale ceppi diversi della stessa specie microbica.
Per indagare questo fenomeno, un gruppo di ricercatori guidati da Ruth Ley del Max-Planck-Institute for Biology hanno analizzato i genomi e i metagenomi intestinali di 1.225 persone che vivono in Africa, Asia ed Europa.
Il team ha quindi raccolto campioni di saliva e di feci da abitanti del Gabon, del Vietnam e della Germania. Inoltre, sono stati analizzati dati già esistenti per persone provenienti da Camerun, Corea del Sud e Regno Unito.
I ricercatori hanno così identificato 59 ceppi microbici che sono stati rilevati di frequente nell’intestino dei partecipanti.
Quindi, hanno costruito alberi filogenetici per tracciare le storie evolutive di ogni persona e di ciascuno dei 59 ceppi microbici.
Come previsto, gli esseri umani sono stati raggruppati in tre gruppi principali, che corrispondevano alle loro origini geografiche.
Inoltre, dai dati ottenuti è emerso che 36 ceppi batterici – corrispondenti a circa il 60% dei microbi analizzati – erano filogeneticamente simili al loro ospite umano, suggerendo per la prima volta che l’uomo e i microbi presenti a livello intestinale si sono evoluti insieme per circa 100.000 anni.
Terapie “microbiome based” più precise
I ricercatori hanno anche scoperto che i microbi che si sono evoluti insieme all’uomo presentano caratteristiche diverse rispetto a quelli che non si sono evoluti con i loro ospiti: per esempio, i primi sono caratterizzati da un genoma più piccolo e sono più sensibili ai livelli di ossigeno e alla temperatura rispetto ai secondi.
Ciò ha fatto sì che questi microbi non siano in grado di vivere al di fuori del corpo umano. «I ceppi che hanno seguito più da vicino la nostra storia sono quelli che ora dipendono maggiormente dall’ambiente intestinale», afferma Ruth Ley.
I risultati dello studio potrebbero quindi aiutare a sviluppare trattamenti personalizzati basati sul microbiota utili per specifiche popolazioni umane.