Gli antibiotici hanno rappresentato, nel secolo scorso, una svolta importante alla medicina permettendo la guarigione di molteplici malattie infettive di origine batterica.
C’è però un lato negativo: colpendo indiscriminatamente la microflora intestinale, anche i cosiddetti batteri “buoni” per la nostra salute sono un target di questi farmaci, soprattutto degli antibiotici ad ampio spettro.
Inoltre, a un’alterazione nella composizione del microbiota durante il trattamento, infatti, talvolta, se prolungato per più di qualche settimana come di routine, si associano effetti nel medio-lungo termine con una diminuzione costante dei ceppi commensali, esponendo l’organismo a una più facile proliferazione di patogeni.
Non solo. Un loro uso ripetuto può comportare lo sviluppo di resistenza rendendo non efficace una loro ri-somministrazione [1,2].
Antibiotici nei bambini
Se la somministrazione di antibiotici altera il profilo batterico degli adulti, come dimostrato in centinaia di studi pubblicati, cosa avviene in età pediatrica quando il microbiota è ancora immaturo e un suo equilibrio è ancora più fondamentale per una buona salute?
L’uso di antibiotici in ambito pediatrico è tutt’altro che poco frequente: basti pensare che al 10 per cento dei neonati vengono somministrati per (sospetto) sviluppo di sepsi (Listeria monocytogenes ed Escherichia coli) o per arginare il rischio di trasmissione di potenziali patogeni durante il parto (streptococchi ad esempio).
Vediamo, quindi, qualche esempio di come un trattamento antibiotico nelle prime settimane di vita si rifletta nei microrganismi intestinali.
Oltre a un generale ritardo nella maturazione del microbiota [3], neonati esposti a profilassi antibiotica intraparto hanno mostrato una diminuzione nei livelli di metaboliti intestinali quali acidi grassi a corta catena, propionato e butirrato [4] assieme a batteri “buoni” come Bifidobacteria (phylum Actinobacteria) o Lactobacilli (phylum Firmicutes) [5].
L’azitromicina, per esempio, ha mostrato di ridurre pesantemente l’abbondanza di Akkermanisia Mucinophilia, specie con riconosciute proprietà anti-infiammatorie e di protezione della barriera intestinale [6].
Diversi antibiotici sembrano infatti alterare l’espressione di specifici geni, l’attività proteica e il metabolismo del microbiota andando potenzialmente a influenzare anche la normale maturazione nello sviluppo di organi e del sistema immunitario [7].
Un altro effetto dimostrato è la riduzione della biodiversità del microbiota intestinale che, dopo la somministrazione di antibiotici, mediamente dura 30 giorni, ma si prolunga fino a 2-3 anni se sono dati a nati prematuri [5]. Inoltre, dopo almeno 7 giorni di trattamento, si è osservato un aumento nell’espressione di patogeni quali streptococchi, pseudomonas, ed enterococchi [8].
L’uso di antibiotici nell’infanzia è stato infine associato a un rischio aumentato di andare incontro a obesità, asma, allergie e patologie infiammatorie intestinali ecc. [3].
Considerando come le infezioni batteriche siano tra i principali problemi di salute pubblica, cosa fare dunque?
Preservare il microbiota intestinale dei bambini
Molti sono gli sforzi volti a diminuire gli effetti collaterali appena elencati con un maggior implemento di antibiotici specifici, quindi mirati a determinati patogeni, assieme alle campagne per un uso più consapevole di queste molecole.
Una valida alternativa, se non altro per alcuni disturbi-patologie, sembrerebbe essere quella di combattere batteri patogeni con altri batteri “buoni” ossia con probiotici selezionati grazie alla loro attività antimicrobica (idrogeno perossido, acido lattico, acido acetico, biosurfattanti ecc.) e meccanismi di competizione-inibizione [1,9,10].
Focalizzandoci sulla popolazione batterica, ceppi probiotici appartenenti ai generi Lactobacillus o Bifidobacterium sono tra i più usati, come singoli o in combinazione.
Tra questi troviamo in particolare Bifidobacterium lactis HN019, Bifidobacterium breve M-16V e Lactobacillus rhamnosus HN001. Questi tre ceppi hanno dimostrato di avere un’attività non solo nella prevenzione di infezioni, ma anche di supportare il sistema immunitario modulando l’attività di enterociti, citochine ecc.
Bifidobacterium lactis HN019, tra i primi probiotici a essere utilizzato nell’alimentazione umana, ha mostrato di supportare le funzionalità della barriera intestinale durante infezioni tipicamente pediatriche da Rotavirus, Shigella spp. o Salmonella spp. e di alleviare i sintomi da dermatite atopica [11].
Bifidobacterium breve M-16V è non soltanto il ceppo più abbondante nei neonati sani e nel latte materno [12], ma è anche dotato di proprietà anti-allergiche, migliorando la sintomatologia da dermatite atopica (eczema) o riniti stagionali [13,14].
Infine, Lactobacillus rhamnosus HN001 ha dimostrato un’associazione positiva con l’aumento della risposta immunitaria e adattativa [15], proprietà in linea con B. lactis e B. breve. Alcuni studi hanno anche dimostrato che questo ceppo è in grado di ridurre l’incidenza di eczema del 50% in bambini dai due ai sei anni [16,17], beneficio sostenuto anche se l’assunzione del probiotico avviene da parte della madre durante la gestazione [18]. Infine, una ricerca ha dimostrato che riduce il rischio di rino-congiuntiviti [19].
Conclusioni
Nonostante i benefici comprovati, non c’è ad oggi un consenso o una standardizzazione dell’uso dei probiotici in sostituzione della terapia antibiotica. Dosaggi, durata del trattamento, meccanismi d’azione ed efficacia clinica devono infatti ancora essere ancora determinati [9, 10]. Tuttavia il problema dell’antibiotico resistenza e quello degli eventi avversi di questi farmaci a livello del microbiota intestinale rendono il ricorso ai probiotici una prospettiva concreta da valutare.
Contenuto realizzato con il contributo di Coree srl
Riferimenti
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