Teplizumab è il primo farmaco approvato per ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1, ma non tutti i pazienti rispondono a questa terapia.
Di recente, un gruppo di ricercatori ha scoperto che i pazienti con risposte immunitarie più forti contro specifici batteri intestinali tendono a beneficiare maggiormente della capacità del farmaco di ritardare l’insorgenza della malattia.
I risultati, pubblicati su Science Translational Medicine, indicano che gli anticorpi prodotti contro i microbi intestinali potrebbero aiutare a identificare i soggetti che possono trarre beneficio dal trattamento con teplizumab.
Come agisce Teplizumab
Teplizumab è un anticorpo che prende di mira i linfociti T e impedisce loro di distruggere le cellule beta del pancreas.
L’FDA statunitense ha recentemente approvato il trattamento con questo farmaco per ritardare l’insorgenza del diabete di tipo 1 sulla base dei risultati dello studio clinico TrialNet 10 (TN-10).
«Lo studio TN-10 ha fornito la prima dimostrazione che una terapia diretta contro i linfociti T potrebbe ritardare l’insorgenza di una malattia autoimmune», affermano i ricercatori. «Tuttavia, le risposte dei partecipanti sono state eterogenee».
Lo stesso team aveva precedentemente osservato un’associazione tra le risposte anticorpali contro i microbi intestinali e la diagnosi di diabete di tipo 1, suggerendo che le prime possano aiutare a prevedere l’insorgenza della malattia.
Quindi, i ricercatori guidati da Quin Yuhui Xie della University of Toronto hanno analizzato gli anticorpi presenti nei campioni di sangue di 63 soggetti che hanno partecipato allo studio TN-10.
Rischio diabete e microbiota intestinale
I ricercatori hanno misurato i livelli di anticorpi prodotti contro un gruppo di 31 batteri intestinali commensali appartenenti a 15 specie comuni.
I soggetti che avevano risposte anticorpali di più lunga durata contro tre specie di batteri intestinali – Bifidobacterium longum, Enterococcus faecalis e Dialister invisus – hanno seguito un trattamento con teplizumab per un periodo maggiore prima che fosse diagnosticato il diabete di tipo 1.
Inoltre, l’effetto di teplizumab è stato più evidente nei partecipanti che avevano risposte immunitarie basali elevate contro B. longum o E. faecalis.
«Questi dati supportano i dati già ottenuti, secondo i quali il diabete di tipo 1 è associato a risposte microbiche intestinali che producono uno stato non infiammatorio e omeostatico», affermano i ricercatori.
Anticorpi antimicrobici
Successivamente, il team ha analizzato l’associazione tra i livelli degli anticorpi antimicrobici e il tempo alla diagnosi del diabete in un gruppo indipendente di 61 pazienti prediabetici.
Dai dati ottenuti è emerso che i soggetti con elevate risposte anticorpali a B. longum e D. invisus erano caratterizzati da un ritardo nell’insorgenza del diabete.
B. longum è un batterio abbondante nel microbiota intestinale del neonato, ma può persistere anche negli adulti. Studi precedenti hanno dimostrato che un’esposizione immunitaria precoce e insufficiente a questa specie è associata a un aumento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 1.
«I livelli di anticorpi contro batteri commensali hanno il potenziale per guidare il reclutamento di individui per studi sul diabete di tipo 1 e per essere utilizzati come marcatori per analizzare l’eterogeneità della risposta alle immunoterapie», concludono gli autori dello studio.