Dato il prestigio e la sempre più minacciata autenticità del vero formaggio Parmigiano, la composizione del suo microbiota è da tempo oggetto di studio per capirne a fondo le peculiarità oltre che per esaltarne le proprietà organolettiche. Ma cosa avviene durante tutta la catena produttiva, dall’animale al prodotto finito e poi all’uomo?
Nel Parmigiano sono contenuti microorganismi collezionati durante l’intero processo produttivo. Tra questi, Bifidobacterium mongolinese ha dimostrato di colonizzare efficacemente l’intestino umano in maniera transitoria, ossia in concomitanza all’introduzione di Parmigiano Reggiano. Questa colonizzazione è ancor più favorita se al formaggio viene abbinato latte vaccino.
È quanto emerge dallo studio di Christian Milani e colleghi dell’Università di Parma, pubblicato su Nature Communications e basato sull’analisi della composizione tassonomica di un totale di 165 campioni o matrici provenienti da cinque stabilimenti produttivi delle provincie di Parma e Reggio Emilia e suddivisi tra fecali (CF, n=10/stabilimento), ambientali (LIT, n=10/stabilimento), di latte (MIL, n=10/stabilimento) e di Parmigiano pronto al consumo (PC, n=3/stabilimento).
È poi seguita un’indagine preliminare su 20 volontari per testare l’eventuale trasmissione e colonizzazione batterica intestinale di ceppi ritrovati nel prodotto caseario. I risultati ottenuti sono stati molti. Vediamo i principali.
La componente batterica nel processo produttivo
Per ogni campione è stato valutato il profilo metagenomico batterico e la biodiversità. Dal confronto è emerso che:
- i campioni di latte e di Parmigiano hanno registrato minor complessità batterica rispetto ai CF e LIT
- l’analisi PCoA ha evidenziato parziale sovrapposizione tra i MIL e i LIT dello stesso stabilimento suggerendo una possibile contaminazione della mammella con i batteri ambientali
- i campioni CF hanno mostrato prevalenza di batteri tipicamente colonizzanti l’intestino dei ruminanti, membri delle famiglie Ruminococcaceae, Rikenellaceae e Lachnospiraceae ad esempio. Batteri anaerobi come Corynebacteriaceae, Staphylococceae e Aerococcaceae caratterizzano i campioni LIT, Lactobacillaceae e Streptococcaceae invece quelli PC
- 37 degli 84 generi con prevalenza >70% nei campioni CF sono stati riscontrati anche nei LIT, 15 dei 37 condivisi tra CF e LIT anche nei MIL
- l’analisi dei taxa riscontrati al >70% in almeno tre tipologie di campioni ha permesso di identificare 13 generi batterici costituenti perciò il core batterico del processo produttivo del Parmigiano. Di questi, Bifidobacterium e membri della famiglia Lachnospiraceae sono stati registrati in quattro dei cinque stabilimenti produttivi, Bacteroides, Streptocoocus e Actinobacteria in tre
- per ogni stabilimento 4 sono in media gli OTUs condivisi fra tutti i tipi di campioni, 49 quelli comuni solo a CF e LIT (11 dei quali presenti anche nei MIL), 24 quelli identici tra CF e MIL, 56 invece tra MIL e PC
- tra tutti, i bifidobatteri hanno dimostrato di contribuire maggiormente alla biodiversità nonostante la loro scarsa rappresentanza rispetto ad altri taxa
Dopo un’analisi complessiva, l’attenzione dei ricercatori si è spostata sul genere Bifidobacterium al fine di confermare l’ipotesi della presenza di specie batteriche comuni ai processi produttivi dei diversi siti. I profili tassonomici ottenuti da campioni CF e MIL hanno confermato le osservazioni procedenti riguardanti la distribuzione di tale specie a livello fecale e nel latte. Nel dettaglio:
- l’aver riscontrato B. longum subsp. infantis nei campioni MIL supporta la capacità della specie Bifidobacterium di colonizzare un’ampia varietà di mammiferi, non solo l’uomo, e quindi una sua elevata adattabilità
- dall’analisi di campioni di Parmigiano è emerso come B. mongoliense BMONG18 rappresenti in media il 33.6% di tutti i bifidobatteri con una prevalenza del 93.3%. A questo seguono B. adolescentis, B. bifidum, B. breve, B. crudilactis, B. longum subsp. longum, B. pseudolongum subsp. globosum con una conta del 37.7% media e una prevalenza dell’82.7%
- B. mongoliense BMONG18 ha dimostrato di esser presente non solo nel prodotto finito (PC) ma anche in tutte le altre matrici (CF, MIL e LIT). Questa elevata adattabilità è probabilmente da ricondurre all’espressione di numerosi geni coinvolti nel metabolismo dei carboidrati correlati al latte (beta-galattosidasi, eso-alpha-sialidasi ecc.)
Non solo i bifidobatteri sono importanti per l’industria casearia, anche i lactobacilli. Dall’isolamento e sequenziamento genico di questo ceppo infatti è stato possibile identificare L. delbrueckii LDELB18P1 e L. delbrueckii LDELB18P2 condivisi tra tutte le matrici di due siti produttivi.
Trasmissione batterica durante la catena produttiva
Nonostante i dati finora ottenuti supportino la trasmissione batterica tra le diverse fasi del processo nonché tra i diversi siti produttivi (trasmissione orizzontale), si è resa necessaria la loro validazione ceppo-specifica attraverso tecniche di metagenomica diretta (shotgun) applicata a otto campioni, due per ogni tipologia.
L’indagine si è concentrata sulle specie batteriche condivise tra tutte le tipologie di campioni e con una prevalenza >19%.
Sono 14 le specie tracciate dalla valutazione PCR in almeno due tipi di campioni provenienti da siti produttivi diversi. Tra queste, Corynebacterium stationis, Prevotella ruminicola e B. mongoliense sono stati registrati in tutte le matrici (CF, LIT, MIL, PC), altre sette in quelli PC e almeno in un’altra tipologia di campione.
La presenza di un core batterico trasmissibile potrebbe perciò rappresentare un valido aiuto per la distinzione di prodotti in base al sito di effettiva provenienza oltre che per l’incremento delle proprietà organolettiche.
Trasmissione all’uomo
Una volta aver confermato l’effettiva trasmissione batterica all’interno del processo produttivo e aver individuato gli attori principali, è stata verificata l’ipotesi che alcuni di questi possano anche colonizzare l’intestino dell’uomo.
Per farlo, 20 volontari sani hanno consumato quotidianamente una porzione di Parmigiano Reggiano fresco (45g/die) per sette giorni. Inoltre, per valutare l’eventuale supporto del latte alla colonizzazione batterica, a 10 di questi è stato addizionato del latte vaccino pastorizzato (200ml/die), ai restanti è stato invece tolto dalla dieta qualsiasi altro alimento caseario o contenente latte.
I campioni fecali sono stati raccolti rispettivamente al baseline (T0), durante la settimana di intervento (T3, T7) e in seguito alla sospensione del supplemento (T10, T14).
- nessuna differenza significativa è emersa in termini di biodiversità tra i due gruppi e tra le diverse tempistiche
- B. mongoliense BMONG18 è stato registrato in tutti i campioni prelevati durante la settimana di intervento, seppur con valori maggiori nel gruppo con supplemento di latte
- in T14 l’abbondanza di B. mongoliense ha dimostrato un notevole calo suggerendo come il consumo abituale del prodotto sia un fattore determinante la colonizzazione
- Lachnospiraceae NK4B4 e Subdoligranulum hanno presentato correlazione positiva con l’abbondanza di B. mongoliense
Tale esperimento è stato poi ripetuto con un prodotto stagionato 12 mesi. Anche in questo caso, B. mongoliense ha dimostrato buone caratteristiche in termini di stabilità, presenza e capacità colonizzante.
In conclusione dunque, questo studio dimostra come, almeno nel settore caseario, ci sia un collegamento diretto tra animale produttore, la vacca in questo caso, e noi consumatori grazie alla trasmissione di determinati microorganismi rendendo perciò ancora più importante il mantenimento della salute degli animali da allevamento.