Dieta mediterranea: ecco come migliora il microbiota e riduce l’infiammazione intestinale

La dieta mediterranea, ricca di verdure, è in grado di modulare il microbiota e, di conseguenza, di ridurre l’infiammazione intestinale.
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Dieta mediterranea: ecco come migliora il microbiota e riduce l’infiammazione intestinale

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Stato dell’arte
Un’alimentazione ricca di cibi processati e di origine animale è correlata con uno stato infiammatorio intestinale cronico. Invece, diete ricche di alimenti vegetali, come la dieta mediterranea, sono protettive nei confronti di molte malattie.

Cosa aggiunge questa ricerca
Questa ricerca analizza il legame tra dieta, microbiota intestinale e infiammazione intestinale, sottolineando le proprietà antinfiammatorie non solo di alcuni alimenti, ma anche di alcune diete nel complesso.

Conclusioni
Soggetti sani e soggetti con patologie intestinali hanno mostrato le stesse risposte alla dieta a livello del microbiota intestinale, risultati importanti per lo studio di altre patologie che coinvolgono infiammazione, microbiota intestinale e nutrizione.

Una dieta ricca di alimenti vegetali, come quella mediterranea, è in grado di modulare il microbiota e ridurre l’infiammazione intestinale. È quanto emerge da uno studio realizzato dall’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, pubblicato di recente sulla rivista Gut.

Cibi processati: disbiosi e infiammazione intestinale

La dieta occidentale predispone l’organismo umano a uno stato infiammatorio di basso grado (low grade inflammation), a livello intestinale e sistemico, il quale è associato a un numero sempre crescente di malattie infiammatorie mediate dal sistema immunitario.

Diete ricche di verdure, legumi, cereali integrali, frutta secca e pesce, come la dieta mediterranea, al contrario, sono potenzialmente in grado di prevenire i processi infiammatori intestinali che sono alla base di molte malattie croniche.

In sinergia con il microbiota intestinale, alimenti integrali, nutrienti quali acidi grassi polinsaturi omega-3 (PUFA n-3) e polifenoli sembrerebbero aumentare l’abbondanza di batteri produttori di acidi grassi a catena corta o SCFA (Short Chain Fatty Acids), stimolando le capacità antinfiammatorie della dieta.

La qualità e la quantità degli alimenti e anche il momento in cui vengono assunti giocano un ruolo importante nel modulare la composizione del microbiota intestinale e, di conseguenza, la sua funzionalità.

Quando l’equilibrio tra i vari microrganismi viene meno si parla di disbiosi. Quest’ultima, insieme ad un’alterata produzione di metaboliti e alla loro traslocazione attraverso la barriera intestinale, contribuiscono all’attivazione immunitaria.

Finora però, la ricerca si è concentrata in particolare sulle proprietà antinfiammatorie di composti singoli mostrando, per questi,  un’efficacia limitata.

I risultati dello studio olandese

Pertanto, il gruppo di ricercatori del Dipartimento di Gastroenterologia ed Epatologia dell’Università di Groningen, coordinato da Laura Bolte, si è prefisso l’obiettivo di analizzare le interazioni tra dieta, microbiota intestinale e la loro capacità di indurre l’infiammazione intestinale.

Sono stati studiati 173 fattori dietetici in relazione al microbioma di 1.425 individui di quattro coorti, distinte da malattia di Crohn, colite ulcerosa, sindrome dell’intestino irritabile e popolazione generale.

Le abitudini nutrizionali dei partecipanti sono state valutate attraverso questionari di frequenza alimentare; la sequenza genica dei microrganismi intestinali, quindi la composizione e le funzioni del microbiota, sono state individuate attraverso il sequenziamento Shotgun metagenomic.

Le associazioni tra dieta e caratteristiche microbiche sono state analizzate per coorte, successivamente da una metanalisi e da una stima dell’eterogeneità.

I dati finali hanno identificato 38 associazioni tra modelli alimentari e cluster microbici: 61 singoli alimenti e nutrienti sono stati associati a 61 specie e 249 vie metaboliche nella metanalisi, tra i volontari sani e malati.

Una maggiore assunzione di alimenti animali, di cibi lavorati e zuccherati e di bevande alcoliche è stata correlata ad un ambiente microbico tipico dello stato infiammatorio ed è associato a livelli più elevati di marker infiammatori intestinali.

Gli alimenti trasformati e di origine animale sembrerebbero favorire una maggiore abbondanza di specie Firmicutes, Ruminococcus del genere Blautia e i pathways di sintesi delle endotossine.

Al contrario, gli alimenti di origine vegetale sono associati ad una minore abbondanza di microrganismi patobionti e favoriscono la crescita di batteri produttori di SCFA, in grado di metabolizzare i polisaccaridi, come per esempio Roseburia, Faecalibacterium e Eubacterium spp

Inoltre, l’associazione tra dieta totale e microbioma intestinale, tra i pazienti malati, è risultata essere in accordo con quanto si evince nella popolazione generale.

Infatti, sono stati identificati pattern dietetici correlati a gruppi di batteri con ruoli funzionali condivisi sia in stato salute che in malattia.

Conclusioni

Nella pratica clinica futura, l’obiettivo sarà di modulare il microbiota intestinale attraverso una maggiore assunzione di alimenti vegetali rispetto agli alimenti animali.

Le risposte alla dieta uguali tra i pazienti con MC, UC, IBS e la popolazione generale potrebbero essere rilevanti per altre patologie in cui infiammazione, modificazione del microbiota intestinale e nutrizione svolgono un ruolo chiave.

Questo studio ha quindi confermato come il microbiota intestinale influenzi direttamente l’equilibrio tra le risposte pro-infiammatorie e antinfiammatorie dell’intestino.

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