Il solo passaggio da una dieta tipicamente occidentale a quella mediterranea, senza alcun intervento sulle abitudini di vita quotidiane e l’introito calorico, è in grado di migliorare il quadro metabolico generale, oltre che il profilo batterico intestinale di soggetti ad alto rischio di sviluppare patologie metaboliche. Gli effetti, soprattutto sul microbiota, sono variabili tra gli individui, suggerendo la possibilità di sfruttare questa correlazione per interventi più mirati.
Lo dimostra lo studio coordinato da Danilo Ercolini dell’Università Federico II di Napoli, di recente pubblicazione su Gut.
Studio condotto su soggetti obesi e sovrappeso
La dieta, è ormai noto, influenza notevolmente la nostra salute agendo anche, e soprattutto, sul microbioma intestinale.
Tra tutte, quella mediterranea ha da tempo dimostrato, in studi osservazionali che monitorano le abitudini quotidiane, i maggiori benefici in particolare per la prevenzione di patologie metaboliche e cardiovascolari. Più scarsi sono invece gli approcci interventistici mirati.
A tal proposito, e considerando l’emergente problematica relativa all’obesità, un gruppo di ricercatori ha analizzato gli effetti di 8 settimane di dieta mediterranea (ricca di frutta, verdura, cereali e pesce, ma povera di grassi, carne e formaggi) in 43 soggetti sedentari, obesi o sovrappeso e con un’alimentazione scorretta. Sono stati invece inclusi nello studio come controllo 39 soggetti, ai quali non è stata imposta alcuna modifica nel loro piano alimentare.
Campioni fecali, di plasma e urine sono stati raccolti rispettivamente al baseline, a 4 e a 8 settimane. Di seguito i risultati principali.
Migliorano i parametri cardiometabolici
Confrontando i campioni plasmatici dei due gruppi è emerso che nel gruppo di intervento:
- il colesterolo totale e il colesterolo HDL sono significativamente diminuiti
- non è stata riscontrata nessuna alterazione significativa nei livelli di glucosio, insulina, TMAO o altri marcatori di patologie metaboliche (glucagone, grelina, GIP, leptina ecc.)
- la riduzione del colesterolo è risultata direttamente proporzionale all’aderenza alla dieta mediterranea che, tra le altre, prevede un doppio apporto di fibre, oltre che la riduzione di proteine animali o grassi saturi.
Tale andamento ha trovato conferma nel sottogruppo di soggetti maggiormente aderenti al disegno di studio (32 nel gruppo controllo, 30 in quello di intervento):
- i livelli di LDL plasmatici al baseline e a 4 settimane sono risultati rispettivamente pari a 2,90±0,13 mmol/L e 2,66±0,12 mmol/L nel gruppo in dieta vs 3,24±0,13mmol/L e 3,25 ±0,12mmol/L in quello di controllo
- è emersa una significativa riduzione anche delle HDL, con valori di 1,26±0,05mmol/L al baseline e 1,18±0,04 mmol/L a 4 settimane nel gruppo di intervento vs 1,21±0,05mmol/L e 1,25±0,05mmol/L.
Sono state inoltre rilevate alterazioni dieta-dipendenti anche in relazione al profilo metabolico:
- è risultata aumentata l’espressione di metaboliti correlati a cereali grezzi, legumi, verdure, noci, pesce
- non è stato rilevato nessun cambiamento nei valori di TMAO nelle urine o nel siero, mentre si è osservato uno spostamento dai prodotti di catabolismo dei grassi a quelli dei carboidrati complessi e proteine.
Gli effetti sul microbiota intestinale
Da ultimo, è stata analizzata la composizione batterica. Anche in questo caso il cambio di alimentazione ha indotto significative alterazioni nell’espressione in particolare di ceppi correlati al metabolismo dei nutrienti di cui è stato aumentato l’apporto.
Differenze significative anche nella diversità batterica generale, oltre che nel profilo metabolico-funzionale del microbiota.
A 4 settimane, infatti, nel gruppo di intervento sono stati registrati:
- una notevole riduzione di Ruthenibacterium lactatiformans, Flavonifractor plautii, Parabacteroides merdae, Ruminococcus torques e Ruminococcus gnavus
- un incremento di 5 ceppi appartenenti a Faecalibacterium prausnitzii, principalmente dei taxa Roseburia e Lachnospiraceae
- riduzione significativa della concentrazione fecale di acidi biliari primari e secondari, in particolare l’acido desossicolico a 4 settimane e quello litocolico a 8. Una maggiore riduzione di acidi biliari è risultata inoltre associata a un più elevato livello basale di Bilophila wadsworthia, ceppo risultato ridotto a 4 settimane
- nessuna alterazione significativa nelle concentrazioni fecali totali di acidi grassi a corta catena (acetato, propionato, butirrato). Di contro, gli acidi grassi a catena ramificata (valerato, isobutirrato ecc.) hanno registrato una notevole diminuzione
- una correlazione negativa tra alterazioni della resistenza insulinica e l’abbondanza di specifici taxa batterici basali quali Faecalibacterium, Roseburia, Bacteroides, e altri ceppi di Clostridia.
Conclusioni
In conclusione, dunque, in individui a elevato rischio di patologie metaboliche, il solo intervento alimentare mirato sembrerebbe in grado di apportare benefici in termini metabolici e a livello del microbiota intestinale. Pianificare una dieta in base al microbiota commensale di ciascun individuo potrebbe dunque rappresentare un ulteriore passo verso una medicina preventiva e verso un trattamento sempre più personalizzato, al fine di potenziarne l’efficacia.