L’antibiotico-resistenza rappresenta una delle principali problematiche di salute mondiale. Tra le strategie per prevenirla o contrastarla, sta suscitando un crescente interesse il possibile utilizzo di proteobiotici, ovvero metaboliti di ceppi probiotici in grado di inibire la virulenza di ceppi patogeni o patobionti. I dati a riguardo sono tuttavia preliminari.
A fare il punto della situazione sono Brianna Tarsillo e Ronny Priefer del Massachusetts College of Pharmacy and Health Science University di Boston (Stati Uniti) in un lavoro di recente pubblicazione su Microbial Pathogenesis.
Che cosa sono i proteobiotici
Gli studi condotti su probiotici e prebiotici suggeriscono come la loro attività antimicrobica sia mediata da un’azione postbiotica, ossia dai proteobiotici. A differenza dei primi, infatti, i proteobiotici hanno dimostrato di contrastare la virulenza di ceppi patogeni o di commensali diventati tali (patobionti).
In che modo? Principalmente interferendo con il loro “quorum sensing” (meccanismo di comunicazione batterica), riducendone la colonizzazione. Trattandosi di un meccanismo d’azione non diretto sul batterio (come quelli degli antibiotici standard), il rischio di sviluppare una resistenza è minore.
Il caso del Lactobacillus acidophilus La-5
Proteobiotici prodotti da Lactobacillus acidophilus La-5 hanno infatti mostrato effetti anti-virulenti nei confronti di Escherichia coli O157:H7, patogeno entero-emorragico in grado di aderire alle cellule epiteliali causando infiammazione acuta a livello del colon e, se non trattata, gravi complicazioni.
Sono stati ottenuti risultati simili anche nei confronti di Clostridium difficile. In particolare, da test preclinici è emerso che:
- la crescita di Escherichia coli in presenza delle frazioni bioattive di L. acidophilus è molto ridotta rispetto all’incubazione in loro assenza
- il probiotico L. acidophilus somministrato a modelli murini infettati con il patogeno ha comportato una notevole riduzione dell’abbondanza di quest’ultimo. Di contro, nei topi non trattati la conta fecale di Escherichia coli ha mostrato un incremento tempo-dipendente
- per i geni che regolano la trascrizione delle tossine A e B di C. difficile è stata registrata una riduzione in termini di espressione dopo l’esposizione a L. acidophilus
- L. acidophilus ha dimostrato di interferire con il quorum sensing di C. difficile, diminuendone colonizzazione e virulenza.
Al momento solo in ambito veterinario
Il primo, e quasi l’unico prodotto in commercio a base di proteobiotici ottenuti da L. acidophilus è un integratore veterinario, finalizzato al trattamento di colibacillosi enterica nei maiali.
Da studi in vivo si è infatti visto come la pre-somministrazione del proteobiotico a diverse concentrazioni durante i 7 giorni precedenti l’infezione con il patogeno sia in grado di ridurre significativamente i sintomi della malattia rispetto al gruppo di controllo.
Gli animali in trattamento hanno inoltre mostrato minori livelli sistemici di disseminazione dell’infezione e, di contro, una maggiore biodiversità (1,4 x 108 cfu/g vs 2,6 x 108 cfu/g).
Un altro prodotto a base di proteobiotici di più recente introduzione viene invece utilizzato nei cani con lo scopo di ri-bilanciare la flora intestinale dopo uno stress acuto.
Conclusioni
Tra le applicazioni future, invece, è stata ipotizzata la possibilità di utilizzare tali metaboliti, oltre alle infezione, anche come coadiuvanti nelle terapie oncologiche visti i loro effetti nella regolazione della proliferazione cellulare.
Nonostante i risultati ottenuti nei confronti di infezioni da E. coli e C. difficile siano promettenti, per l’utilizzo nell’uomo di proteobiotici (prodotti per esempio da L. acidophilus) saranno necessari ulteriori studi.