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Microbioma ereditabile, produttività ed emissioni delle mucche da latte

Ecco come potrebbe essere possibile migliorare la sostenibilità dell’industria agricola bovina modulando il microbioma del rumine.
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Microbioma ereditabile, produttività ed emissioni delle mucche da latte

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Stato dell'arte
La relazione tra microbioma e funzionalità del rumine è nota. Poco si sa invece del ruolo dell’ereditarietà batterica nella salute e nella produttività dell’animale.
Cosa aggiunge questa ricerca
Scopo dello studio è stato quello di correlare il genoma di 1016 mucche da latte (n=200 rosse nordiche; n=816 Holstein) provenienti da diversi Paesi con il relativo microbioma del rumine, la produttività e le emissioni di metano, entrambi aspetti da considerare a livello industriale.
Conclusioni
Nel totale del microbioma, un ridotto numero di microrganismi si è mostrato ereditabile e, al contempo, fondamentale nel determinare il fenotipo dell’ospite, la produttività casearia e l’emissione di metano. Modularne opportunamente l’espressione, in queste razze ma non solo, potrebbe essere utile nell’ottica della sostenibilità agricola.

In questo articolo

Incrementare la sostenibilità dell’industria agricola bovina è fattibile. Lo si deve al fondamentale ruolo di un ristretto numero di microorganismi residenti nel rumine, ereditabili e coinvolti nella produttività casearia e nell’emissione di biogas, metano in particolare, attualmente tra i maggiori responsabili dell’inquinamento ambientale. Il loro carattere ereditario suggerisce inoltre la possibilità di predire l’andamento delle variabili considerate (produzione, emissioni) con una ragionevole certezza.

È quanto si può concludere dallo studio coordinato da R. John Wallace della University of Aberdeen (UK), di recente pubblicazione su Science Advances. 

Nei ruminanti, la relazione tra microbioma, funzionalità del rumine e salute dell’ospite è ormai nota. Meno conosciuta è invece la genomica batterica, ossia l’ereditarietà. A tal proposito, nell’ottica di implementare nuove strategie di sostenibilità industriale, i ricercatori hanno analizzato il microbioma del rumine e i campioni ematici di 1.016 mucche da latte di razza “Rossa nordica” (n=200, provenienti da Inghilterra e Italia) e Holstein, un sottogruppo della Frisona (n=816, provenienti da Finlandia e Svezia).

Scopo dello studio è stato quello di correlare il fenotipo dell’ospite con la composizione del suo microbioma, indagando in particolare:

  • a) il numero di specie in comune tra i vari esemplari;
  • b) tra le specie in comune, l’eventuale presenza di un core ben identificabile;
  • c) l’influenza di tale core sul genoma dell’ospite;
  • d) come le specie appartenenti o meno al core impattino il fenotipo e la produttività.

Di seguito i principali risultati ottenuti.

Composizione del microbioma

L’analisi tassonomica ha rilevato la presenza di un core di microorganismi composto da 512 OTUs batterici identificati a livello di specie, 454 procarioti, 12 protozoi e 46 miceti, presente in almeno il 50% degli esemplari di ogni allevamento e perciò ampiamente condiviso tra le due razze, indipendentemente dalla provenienza geografica.

Nel dettaglio, il core individuato:

  • è significativamente arricchito in Bacteroidales, Spirochetales e WCHB1-41;
  • rappresenta una minima parte di tutto il microbioma, meno dello 0,25% di tutte le specie presenti;
  • è strettamente correlato al microbioma totale soprattutto in termini di beta- diversity. Associazione maggiore è stata tuttavia registrata intra-core;
  • è altamente conservato in struttura e abbondanza tra le diverse provenienze, allevamenti e diete;
  • è correlato significativamente anche con il genoma dell’ospite.

Microbioma ereditario

La correlazione individuata tra core e genoma ha suggerito non solo uno stretto legame tra ospite e microorganismi residenti, ma anche una possibile ereditarietà di questi ultimi. Sono state quindi condotte analisi genetiche più stringenti escludendo gli esemplari con un differente background, dalle quali è emerso che:

  • 39 OTUs ereditabili sono stati registrati dalla razza Holstein tra i quali Ruminococcus e Fibrobacter (attivamente coinvolti nel processo di degradazione della cellulosa), Succinovibrionaceae (responsabile della produzione di metano), e due funghi del genere Neocallimastix;
  • solo tre batteri, tutti appartenenti a Prevotellaceae, hanno invece mostrato carattere ereditario nella razza Rossa nordica;
  • considerando i singoli allevamenti, i microorganismi ereditabili hanno mostrato connessioni maggiori tra loro rispetto ai non ereditabili;
  • la stabilità del microbioma ereditabile è nel complesso elevata. Solo una minima parte ha inifatti dimostrato alterazioni in base alla stagionalità.

Microbioma, metabolismo e fenotipo dell’animale

È stata quindi esaminata l’eventuale relazione tra espressione del core, capacità metabolica e fenotipo dell’esemplare. Correlazione significativa è stata riscontrata per 339 microorganismi, principalmente procarioti, ma anche protozoi e funghi. In particolare:

  • un buon numero di membri del core hanno mostrato coinvolgimento nel metabolismo degli acidi grassi volatili (acetato, propionato) generati dal processo di fermentazione del rumine;
  • meno numerosi, ma significativi, quelli associati con la produttività casearia e l’emissione di metano.

Gli algoritmi “Ridge regression” e “Random forest” hanno infine dimostrato come, note le caratteristiche del core e individuati i ceppi ereditati, sia possibile predire le capacità metaboliche e/o i tratti fenotipici dell’esemplare con un certo grado di affidabilità, produzione casearia e di metano incluse.

Sulla base di questo studio possiamo dunque affermare come determinati microorganismi, seppur in numero ridotto, abbiano un notevole impatto sulle caratteristiche fenotipiche e metaboliche dell’ospite, mucche da latte in questo caso. Sembrerebbe quindi possibile migliorare la sostenibilità produttiva dell’agricoltura moderna modulando opportunamente il microbioma del rumine con opportune diete e/o inoculazioni in situ.

Sebbene questi dati siano stati ottenuti su due razze, gli autori suggeriscono una loro trasferibilità ad altre specie di ruminanti.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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