Gatti con peritonite infettiva, patologia causata da coronavirus, presentano, nel complesso, un microbiota intestinale alterato rispetto a controlli sani o ad altri esemplari portatori sani dello stesso virus eziologico.
È quanto conclude lo studio pilota tutto italiano di Sara Meazzi e colleghi dell’Università degli Studi di Milano, di recente pubblicazione su Research in Veterinary Science.
La peritonite infettiva felina (FIP) è una condizione spesso fatale per i gatti, quelli giovani soprattutto. È causata dal coronavirus, un microrganismo spesso presente nel loro intestino, che, subendo delle mutazioni in fase di replicazione per ragioni ancora poco note, può acquistare caratteristiche patogene sostenute da un’attiva interazione con i monociti.
La difficoltà nel giungere a una diagnosi con le attuali metodiche (immunoistochimica principalmente) rende necessaria un’alternativa attuabile anche in fase precoce di malattia. A tal proposito, i ricercatori hanno voluto confrontare il microbiota intestinale di gatti con FIP (n=5) con quello di portatori sani del virus (n=5) e controlli non infetti (n=5) al fine di ricercare un profilo caratteristico di malattia da poter considerare come strumento diagnostico. Di seguito i risultati ottenuti dall’analisi dei campioni fecali.
Nel complesso, la scarsa numerosità degli esemplari inclusi nello studio non ha permesso una descrizione approfondita della composizione batterica (ma solo una panoramica generale dei taxa più espressi) né una suddivisione marcata dei gruppi. È emerso tuttavia che:
- Firmicutes è, tra gli 11 identificati, il phylum più espresso seguito da Bacteroidetes, Actinobacteria e Proteobacteria
- rispetto ai restanti, il gruppo dei portatori sani ha dimostrato, seppur in maniera non significativa, una maggiore presenza di Firmicutes, minore di Bacteroides. Il rapporto Bacteroidetes:Firmicutes è risultato infatti pari a 0,9 nel gruppo controllo, 0,5 in quello con malattia e di 0,1 in quello dei portatori sani. Fusobacteria ha invece mostrato maggiore abbondanza relativa nel gruppo FIP
- a livello di genere, il gruppo dei portatori sani ha, ancora una volta in maniera non significativa, riportato una maggiore espressione di Erysipelothrichi e Clostridia, inferiore di Bacteroidia
- nel gruppo FIP, tre dei 5 esemplari hanno mostrato un profilo batterico simile. Dei rimanenti, uno ha presentato caratteristiche totalmente diverse, l’altro un ridotto numero di phyla e classi.
Seppur con le limitazioni derivanti dalla scarsa dimensione campionaria, il presente studio è il primo finalizzato a indagare la composizione batterica intestinale di gatti con coronavirus e/o peritonite.
Dai primi risultati sembrerebbero esserci differenze nel microbioma fecale dei tre gruppi sperimentali. Ulteriori studi sono però necessari al fine di rafforzare e approfondire queste prime evidenze.