Monitorare i livelli di espressione genica di peptidi antimicrobici quali BPI, lattoferrina e SLPI sembrerebbe una soluzione diagnostica valida e utile per individuare e distinguere tra condizioni di infiammazione intestinale idiopatica e più aggressivi linfomi intestinali nei cani. Se queste alterazioni siano causa o conseguenza della situazione clinica rimane tuttavia da chiarire.
A dimostrarlo è lo studio coordinato da M. Nakazawa dell’Università di Tokyo, recentemente pubblicato su The Veterinary Journal.
Dal solo esame istologico è spesso difficile decidere se si tratta di un’infiammazione intestinale idiopatica (IBD) o di un linfoma intestinale. Anche la combinazione di saggi immunochimici non è sempre risolutiva a causa della scarsa specificità e/o sensibilità.
Considerando però la diffusione di queste patologie nei cani, nonché la loro gravità, del linfoma soprattutto, la messa a punto di alternative diagnostiche affidabili è quindi necessaria.
A tal proposito, i ricercatori giapponesi hanno proposto di esaminare i livelli di espressione genica intestinale di sei delle principali classi di peptidi antimicrobici (AMPs), ossia lattoferrina, SLPI (secretary leukocite peptidase inhibitor), lisozimi, BPI (bactericidal/permeability increasing protein), catelicidina e CDB103 (canine beta defensin) in cani con IBD ((n=44), linfoma intestinale a piccole (n=25) e grandi cellule (n=19) vs controlli sani (n=20). Queste proteine, ampiamente espresse dalla mucosa intestinale, sono infatti coinvolte nella regolazione del sistema immunitario innato contro i patogeni agendo sulla proliferazione e sulla vitalità batterica. Studi clinici hanno dimostrato come pazienti con IBD presentino valori alterati di AMPs rispetto a controlli sani. Alla valutazione dei valori di AMPs si è poi aggiunta quella di altri parametri quali peso, livelli sierici di albumina, punteggio clinico di patologia (CCECAI) e il tempo di sopravvivenza dalla diagnosi. Di seguito i risultati ottenuti dal confronto dei tre gruppi.
L’analisi mRNA dell’espressione genica duodenale di AMPs ha dimostrato:
- un significativo incremento di espressione di BPI in cani con IBD
- valori maggiori di lattoferrina e SLPI nei gruppi con patologia rispetto ai controlli
- aumento significativo dell’abbondanza relativa di lisoenzimi e CDB103 nel gruppo con IBD rispetto a quelli con linfoma, differenza non così accentuata invece tra controlli e cani malati
- nessuna differenza significativa nell’espressione di catelicidina tra i quattro gruppi
- nessuna correlazione significativa tra livelli di AMPs e punteggio di patologia CCECAI.
Considerando invece gli altri parametri:
- cani con IBD e linfoma hanno mostrato analoga rappresentanza di genere, peso, concentrazione sierica di albumina ed età
- tra i tre gruppi con patologia, quello con linfoma intestinale a grandi cellule ha registrato il più alto punteggio CCECAI
- la sopravvivenza complessiva è risultata significativamente inferiore per i gruppi con linfoma rispetto a quello con IBD.
I ricercatori hanno inoltre valutato l’affidabilità diagnostico-predittiva dei livelli di espressione di geni trascriventi per AMPs focalizzandosi su quelli maggiormente alterati (BPI, lattoferrina e SLPI):
- BPI ha mostrato di differenziare casi di IBD da quelli di linfoma e/o di escludere la presenza di patologia con la più elevata affidabilità. Il cut-off migliore si è dimostrato essere pari a 1,875 (sensitività dell’86,7%, specificità al 100%)
- di contro, lattoferrina e SLPI non sono risultati strumenti diagnostici affidabili.
Tra le limitazioni dello studio, sottolineate dagli stessi autori, troviamo la mancanza di sistemi di differenziazione standard tra IBD e linfoma, il campionamento solo nel tratto duodenale o il pretrattamento antibiotico degli esemplari che potrebbe aver influenzato i livelli di espressione.
In conclusione, possiamo affermare come, in linea con quanto già osservato nell’uomo, i livelli duodenali di AMPs (quali BPI, lattoferrina, SLP, lisoenzimi e CBD103) siano alterati in presenza di IBD anche nei cani, anche se la relazione causa-effetto rimane tuttora da chiarire. In particolare, monitorare l’espressione di BPI potrebbe rappresentare un potenziale strumento differenziale per la diagnosi di IBD.