Perché Bill Gates e Mark Zuckerberg stanno investendo sul microbioma?

Miliardi di dollari si stanno riversando su biotech e università: vediamo perché e chi sono i protagonisti.

Fino a 15 anni fa nessuno, o quasi, avrebbe scommesso un singolo euro sul microbioma. Figuriamoci investire soldi e tempo. Eppure oggi ci sono fondazioni, singole persone e società di venture capital interamente dedicate a promuovere e finanziare la ricerca privata sul microbioma intestinale, cutaneo, orale, vaginale e perfino quello dell’albero respiratorio.

Secondo alcune stime sono circa 5 miliardi gli investimenti privati che dal 2014 a oggi si sono riversati su biotech, piccole e meno piccole, università e centri di ricerca. Tra i finanziatori ci sono anche miliardari che all’apparenza poco hanno a che vedere con questo mondo. Mark Zuckerberg è uno di questi. Attraverso la fondazione Chan Zuckerberg Biohub ha investito 13,7 milioni di dollari in un progetto di ricerca che vede la collaborazione di tre università californiane (Stanford, UCSF e UC-Berkeley).

Un progetto coordinato da Stephen Quake, PhD, co-presidente di CZ Biohub e docente di bioingegneria e fisica applicata alla Stanford University. Lo abbiamo intervistato nel 2016, un paio di anni prima di ricevere questi finanziamenti, e ci siamo fatti raccontare il suo progetto di ricerca. Clicca qui per vedere l’intervista.

Anche Bill Gates, attraverso la sua fondazione non è da meno. A questo link si possono trovare tutti i grant che Bill & Melinda Gates Foundation ha dato negli ultimi anni per sostenere la ricerca sul microbioma. Una vocazione filantropica che si riassume nell’affermazione che lo stesso Bill Gates ha fatto lo scorso anno durante una conferenza all’Università di Cambridge: «ll problema della malnutrizione nei Paesi poveri del mondo potrebbe essere affrontata nei giro di pochi anni con un approccio basato sulle ricerche sul microbioma».

Perché così tanto interesse?

«Non credo che ci siano altri campi della medicina oggi che promettono tanto per il futuro della medicina quanto il microbioma» ha dichiarato Bernat Olle, 40 anni, un Ph.D. del MIT in tasca e oggi direttore di Vedanta Biosciences, alla rivista Forbes.

La sua azienda, una biotech Massachusetts che sta sviluppando farmaci partendo dai batteri intestinali, ha ottenuto finanziamenti per 112 milioni di dollari, di cui 10 milioni proprio dalla Fondazione Bill & Melinda Gates.

C’è anche chi cerca di frenare gli eccessi, senza spegnere l’entusiasmo e la ricerca. Uno di questi è Lee Jones, presidente e CEO di Rebiotix Inc (oggi Gruppo Ferring) che in questa intervista sottolina come sia importante non dare false speranze ai cittadini. Perché tutta questa ricerca abbia un reale impatto clinico occorre aspettare di avere dati solidi. E per questo servono i trial clinici.

L’entusiasmo non manca. Basta fare un rapido giro per i numerosi congressi che in Europa e USA si stanno tenendo in questi mesi  su queste tematiche per avere da un lato la percezione dell’interesse da parte di Big Pharma, sempre presente ad ogni appuntamento. Dall’altro la sensazione che qualcosa di grosso sta davvero succedendo nel mondo della ricerca.

Microbiome Movement, Pharmabiotics, Bio-Europe, Microbiome Therapeutics, European Microbiome Congress, North America Microbiome Congress, Probiota, Probiotic-prebiotic & New Food, Microbiome R&D and Business Collaboration Congress. Sono solo alcuni esempi dei tantissimi eventi che negli ultimi 6 mesi hanno messo assieme biotech, aziende pharma e università nel tentativo di trovare un fil rouge in questa enorme massa di dati che, di giorno in giorno, aumenta sempre di più.

Una tempesta perfetta

Oltre 50.000 studi pubblicati negli ultimi 4 anni sul microbioma sono davvero tanti. A questo si aggiunga il fatto che negli ultimi anni sono diventate disponibili tecnologie, a partire dal sequenziamento genico, impensabili fino a poco tempo fa. E grazie a queste innovazioni è stato possibile mettere il piede sull’acceleratore della ricerca.

Riassumendo: disponibilità economica, tecnologie che accelerano la ricerca, attenzione dei media, studi sempre più numerosi. Una tempesta perfetta: secondo alcuni analisti ci troviamo oggi nella stessa situazione di quando, tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila, chi aveva investito nelle giovani biotech che stavano lavorando sugli anticorpi monoclonali per l’oncologia, nel giro di pochi anni ha visto moltiplicare a dismisura i propri interessi.

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