I primi campanelli d’allarme di un infarto potrebbero “nascondersi” nell’intestino. Un recente studio ha infatti dimostrato che molto prima dell’insorgenza di una patologia cardiaca si sviluppano importanti alterazioni nella composizione del microbiota intestinale.
I risultati, pubblicati su Nature Medicine, suggeriscono quindi che i profili microbici e metabolici identificati potrebbero essere utilizzati come indicatori (biomarker) della transizione verso queste patologie.
Negli ultimi anni, alcuni studi hanno osservato che le persone affette da malattie cardiache croniche presentano spesso un microbiota intestinale alterato, ma a complicare il tutto c’è il fatto che queste alterazioni possono essere causate da diversi fattori, come per esempio l’uso di farmaci.
Microbiota e malattie cardiometaboliche
Per studiare il ruolo dei microbi intestinali nelle malattie cardiometaboliche, due team internazionali di ricercatori hanno analizzato il microbiota intestinale e i livelli ematici di composti di origine batterica in centinaia di persone provenienti da Danimarca, Germania, Francia e Israele.
In particolare, un primo gruppo di ricercatori ha reclutato 372 pazienti affetti da malattie cardiache (angina pectoris, infarto del miocardio o insufficienza cardiaca), 275 persone sane e 222 soggetti con obesità e diabete di tipo 2, ma senza una diagnosi di malattia cardiaca.
I ricercatori hanno caratterizzato i microbi intestinali dei partecipanti e i metaboliti presenti nel sangue e nelle urine.
In parallelo, un altro gruppo di studiosi ha analizzato il microbiota intestinale di 997 persone sane e 199 individui con sindrome coronarica acuta.
Entrambi gli studi hanno rilevato che nelle persone con obesità e diabete di tipo 2 le alterazioni del microbiota intestinale sono presenti molto prima dell’insorgenza dei sintomi di malattie cardiache.
Le persone con problemi cardiaci hanno mostrato alterazioni specifiche, inclusi livelli minori di batteri che producono molecole benefiche, come acidi grassi a catena corta, e una maggiore abbondanza di batteri che producono composti nocivi.
Clostridiaceae basse e sindrome coronarica acuta
Gli autori del secondo studio hanno identificato una nuova specie batterica della famiglia delle Clostridiaceae, i cui livelli erano ridotti nei soggetti con sindrome coronarica acuta. Inoltre, hanno osservato che i profili metabolici dei pazienti con questa patologia sono correlati ai loro parametri clinici.
L’altro gruppo di ricercatori ha osservato che i farmaci hanno un impatto su circa la metà delle 700 specie batteriche e dei 1.000 composti microbici, ma queste alterazioni non hanno aumentato il rischio di malattie cardiache.
«Per quanto riguarda la restante metà delle specie batteriche presenti, circa il 75% delle alterazioni a loro carico si è verificato nei pazienti in sovrappeso o diabetici molti anni prima che questi notassero qualsiasi sintomo di malattie cardiache», afferma l’autore senior dello studio Oluf Pedersen della University of Copenhagen.
Sebbene gli studi abbiano identificato una correlazione, ma non un rapporto causa-effetto, tra i cambiamenti del microbiota e lo sviluppo di condizioni cardiometaboliche, i risultati ottenuti sui profili microbici e metabolici nei diversi stadi della malattia in futuro potrebbero essere utilizzati come bersagli terapeutici in studi preclinici sulla malattia coronarica.
Conclusioni
«Gli studi sia nell’uomo sia nei roditori dimostrano che un microbiota intestinale alterato nei vari stadi di sviluppo delle malattie cardiache può essere modificato e in parte ripristinato con una dieta a base vegetale e controllata dal punto di vista energetico, evitando di fumare e praticando quotidianamente attività fisica», spiega Oluf Pedersen.
«È tempo di tradurre le prove accumulate sul ruolo del microbiota intestinale in iniziative di salute pubblica più mirate nel tentativo di prevenire o ritardare la morbilità e la mortalità legate alle malattie cardiache».