Cosa sappiamo su acne e microbioma cutaneo? A che punto sono le ricerche? E soprattutto è pensabile che in un prossimo futuro siano disponibili nuovi approcci terapeutici basati sulla popolazione di batteri che vive sulla nostra pelle? Alan M. O’Neil e Richard L. Gallo (University of California San Diego, La Jolla, USA) si sono posti questi interrogativi e hanno deciso di pubblicare sulla rivista Microbiome un lavoro di revisione della letteratura su questi temi.
L’acne è una delle patologie cutanee più comuni al mondo: colpisce fino all’85% degli adolescenti e dei giovani adulti, causando ingenti costi socio-economici. È considerata una malattia dell’unità pilosabacea di carattere infiammatorio e dallo sviluppo chiaramente multifattoriale, anche se non ancora del tutto compreso.
Tra i principali fattori eziologici finora individuati ci sono l’incremento di produzione di sebo, l’ipercheratinizzazione follicolare, la colonizzazione da parte di batteri cutanei e, per l’appunto, la presenza di infiammazione.
Microbiota e acne: aspetti generali
Gli studi sul microbiota cutaneo hanno portato alla luce aspetti interessanti anche in relazione all’acne.
I siti sebacei sono infatti dominati dalla specie Cutibacterium, mentre la maggior parte della superficie cutanea presenta maggiore espressione di Staphylococcus e Corynebacterium, se si considerano le specie, e di Actinobateria, Proteobacteria, Firmicutes e Bacteroidetes per i phyla. È importante tuttavia considerare l’elevata eterogeneità intra- e inter-individuale determinata in parte anche dai prodotti cosmetici applicati sulla pelle.
Il commensale Cutibacterium acnes è tradizionalmente associato all’insorgenza di acne. Si è visto però che questo batterio ha anche effetti positivi per l’ospite, dato che ostacola la colonizzazione di patogeni soprattutto attraverso il rilascio di acidi grassi antimicrobici che contribuiscono ad acidificare il pH epiteliale.
Attribuire solo a C. acnes il manifestarsi dell’acne sembrerebbe inoltre alquanto riduttivo, visto che questo batterio è stato trovato anche in individui sani. E’ evidente quindi che, nonostante sia stata dimostrata una certa correlazione tra la presenza di C. acnes a livello follicolare e lo sviluppo di acne patologico, rimane da determinare in che misura il batterio sia coinvolto nell’insorgenza della malattia.
Accanto a C. acnes, per esempio, anche S. epidermidis ha mostrato buoni livelli di espressione epiteliale, compresi i siti colpiti da acne. Si è visto inoltre che, in campioni di cute sana, C. acnes e S. epidermidis co-esistono all’interno di una comunità batterica eterogenea mentre, in presenza di acne, la diversità ceppo-specifica e l’abbondanza relativa di S. epidermidis appaiono incrementate a spese di C. acnes, confermando un potenziale ruolo del primo nella patologia in questione.
Metodiche di analisi e risultati
La scelta del campione da analizzare e della procedura con la quale raccoglierlo e trattarlo è fondamentale per ottenere risultati affidabili e riproducibili.
Il metodo di campionamento più comune negli studi sul microbiota cutaneo è di tipo “non-invasivo”, basato su tamponi, scrub o strap che consentono di raccogliere i batteri che risiedono sulla superficie e sullo strato corneo. Metodiche più invasive, come per esempio le biopsie, sono utilizzate per il prelievo dei batteri che colonizzano i follicoli.
Per quanto riguarda il batterio C. acnes, le procedure di analisi più rudimentali hanno permesso di identificarne due distinti fenotipi, detti tipo 1 e 2 con i relativi sottotipi, ai quali si è di recente aggiunto il tipo 3. Grazie a tecniche di metagenomica sempre più avanzate, è stato possibile differenziare vari ceppi di C. acnes in base all’espressione di determinati geni associati a virulenza e che codificano, per esempio, per peptidi antimicrobici, citochine o proteasi, dimostrando che un loro più elevato grado di manifestazione è direttamente correlato alla capacità di indurre la patologia.
In generale, la presenza di C. acnes di tipo 1A è associata a malattia mentre quella dei tipi 2 e 3 a cute sana. Questa differenza di virulenza è stata in parte spiegata analizzando in modo più approfondito il genoma delle varie tipologie di C. acnes identificate. Un fattore discriminante in tal senso sarebbe la presenza o meno del locus CRISP/Cas, espresso nei ceppi di tipo 2, solo parzialmente in quelli di tipo 3 e totalmente assente in quelli di tipo 1. Un’altra possibile spiegazione starebbe nella presenza di importanti mutazioni a carico dei geni che codificano per lipasi coinvolte nella degradazione del sebo.
C. acnes e risposta immunitaria
I cheratinociti sono la tipologia cellulare più diffusa a livello dell’epidermide e partecipano direttamente sia all’immunità innata che a quella adattativa in quanto fonte di peptidi antimicrobici e citochine pro-infiammatorie in occasione di danno o patogeno. I patogeni vengono riconosciuti attraverso l’identificazione di loro pattern molecolari specifici come per esempio la presenza di ligandi per TLR2 o TLR6.
Proprio i ligandi dei TLR2 prodotti da C. acnes sembrerebbero promuovere l’infiammazione tipica dell’acne stimolando a loro volta, assieme ai SCFAs, la sintesi di IL-1alpha, IL-6, IL-8, TNFalpha e GM-CSF (granulocyte macrophage-colony stimulation).
Competizione batterica all’interno dell’unità follicolare
In presenza di acne, la disbiosi batterica potrebbe essere attribuita a un cambiamento delle condizioni ambientali indotte, per esempio seborrea o disseborrea mediata da androgeni, nelle quali in cui i ceppi più adattabili o resistenti risulterebbero avvantaggiati. A tal proposito, C. acnes di tipo 2 ha una ridotta attività lipasica rispetto al tipo 1, il che potrebbe tradursi in uno svantaggio in condizioni di competizione per spazio vitale e risorse.
In generale, C. acnes ha dimostrato la capacità di produrre svariate batteriocine o molecole analoghe che gli consentirebbero un buon successo nella colonizzazione all’interno del follicolo e della superficie epiteliale. Ai meccanismi di difesa diretti mediati da sostanze tossiche si aggiungono quelli indiretti che sfruttano la produzione di metaboliti ad azione antimicrobica come acidi grassi liberi (acido laurico, acido linoleico) e SCFAs in grado, tra l’altro, di inibire la crescita di S. aureus meticillina-resistenti e del gruppo A degli Streptococcus. È stata inoltre scoperta una certa propensione antimicrobica del sottotipo C. acnes 1A2 nei confronti di S. epidermidis in vitro benché lo stesso S. epidermidis abbia dimostrato a sua volta, oltre che le stesse capacità di difesa, attività anti-C. acnes e anti-S. aureus in altri studi.
Opzioni di trattamento in uso mirate sui batteri cutanei
Considerando come l’acne sia una patologia infiammatoria multifattoriale, è ragionevole supporre l’esistenza di molteplici vie di intervento.
Tra le principali si ricordano:
- Trattamenti topici a base di acidi salicilati e antibiotici (clindamicina o eritromicina)
- Trattamenti per via orale (antibiotici) indicati per pazienti con malattia di grado medio-grave o nei quali la terapia topica ha fallito o non è stata tollerata
- Fototerapia con raggi UV, sfruttando le loro proprietà battericide
Ancora in via sperimentale sono invece gli approcci terapeutici basati su:
- Formulazioni topiche contenenti batteri che producono ossido nitrico dalle proprietà antinfiammatorie e antimicrobiche (Nitrosomona eutropha)
- Probiotici e prebiotici che sfruttano l’asse intestino-cervello-cute
- Fagi
- Vaccini contenenti per esempio C. acnes ucciso
Conclusioni
La relazione tra C. acnes e lo sviluppo di acne rimane ancora oggi un aspetto dibattuto a causa soprattutto di carenze metodologiche in fase di analisi. I progressi tecnologici ci hanno permesso di rivalutare il concetto classico di fisiopatologia legata all’acne andando a scoprire come accanto a C. acnes siano coinvolte altre specie batteriche, svariati metaboliti e un complesso intreccio di interazioni con l’ospite.
L’approfondimento di tutti questi aspetti rappresenta dunque un target di ricerca importante per favorire la cura dell’acne nonché la sua prevenzione.