Prebiotici, probiotici, postbiotici: potrebbe essere questa la strada per il trattamento dell’alopecia areata, disturbo del cuoio capelluto diffuso e ad elevato impatto psicologico. Pazienti con questa patologia mostrano infatti una significativa alterazione del pattern infiammatorio e del microbiota dello scalpo in termini di composizione e funzionalità rispetto a soggetti sani. Una sua modulazione potrebbe quindi offrire notevoli vantaggi.
È quanto si può concludere dallo studio di un gruppo di ricercatori italiani coordinati da Fabio Rinaldi, da poco pubblicato su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology.
Il microbiota del cuoio capelluto
Recente e di crescente interesse è lo studio del microbioma in relazione alla salute della pelle. Scarse sono ancora tuttavia le ricerche riguardo disturbi del cuoio capelluto (scalpo), zona peculiare dal punto di vista anatomico-funzionale. Più sottile e vascolarizzato, con una maggiore presenza di ghiandole sebacee e un pH più acido ospita infatti una popolazione microbica unica.
Tra i batteri, generi appartenenti a Propionibacterium e Staphylococcus sono i più espressi in condizioni fisiologiche, seguiti da funghi (Malassezia spp. in primis) e altri microrganismi, quali virus e acari.
Tra tutte, l’alopecia areata è una delle patologie dello scalpo più comuni e caratterizzata da una crescita dei capelli a chiazze. L’eziologia, come il trattamento, rimangono ancora punti da approfondire. Un coinvolgimento autoimmune sembrerebbe però confermato ed è stato suggerito, come approccio terapeutico, un target batterico, considerando come sia risultato alterato in soggetti con questo disturbo.
«Pazienti con alopecia areata presentano una disbiosi cutanea con una diminuzione caratteristica di cutibacteria e, in particolare, di S. epidermidis, uno dei ceppi principalmente coinvolti nel mantenimento dell’equilibrio del microbioma locale. Alterazioni ancora maggiori sono state osservate nel derma profondo e nel bulbo. Lo stesso paziente presenta inoltre un microbiota diverso in sede di malattia rispetto a zone non interessate da alopecia» afferma Fabio Rinaldi, facendo riferimento a uno studio precedente. «È stato inoltre Interessante notare come nello scalpo di questi pazienti siano presenti batteri tipicamente intestinali, anaerobi e coinvolti in patologie autoimmuni. Si tratta di Akkermasia e Prevotella, per i quali è stato dimostrato un ruolo nello sviluppo di artrite».
Lo studio sui batteri coinvolti nell’alopecia
L’ambiente gioca però un ruolo fondamentale e le eventuali modificazioni sono di norma transitorie e perciò difficili da tracciare. Per una maggiore affidabilità, mediante un approccio di trascrittomica si è quindi cercato di identificare un particolare profilo metagenomico, oltre che un determinato pattern di metaboliti urinari, da correlare alla presenza di alopecia areata. Quali sono dunque le vie patologiche innescate da questi batteri? Per capirlo sono stati collezionati tamponi e biopsie cutanee dello scalpo e campioni di urina da 47 soggetti sani o con alopecia areata (grado S2-S5). Ecco cosa è emerso.
Dal confronto dei tamponi cutanei è stata registrata una notevole differenza in termini di composizione batterica tra i pazienti e i controlli sani. In particolare:
- contrariamente ad Acinetobacter, Candidatus Aquiluna e due OTUs delle famiglie Microthrixaceae e ACK-M1 hanno mostrato minore espressione nel derma di controlli sani
- l’epidermide del gruppo con alopecia areata presenta livelli maggiori di Anaerococcus e Neisseria rispetto ai controlli, assente invece il genere SMB53 (Clostridiaceae)
- il genere Staphylococcus ha registrato abbondanza significativamente inferiore sia nel derma sia nell’epidermide dei pazienti
- a livello di specie, Candidatus Aquiluna rubra e Staphylococcus epidermis hanno registrato un significativo decremento nel derma di soggetti con alopecia areata. Di contro, un OTU non identificato di Neisseriaceae è risultato più espresso nell’epidermide degli stessi
- non è stata riscontrata nessuna differenza significativa dal confronto degli strati ipodermici.
Paragonando invece l’abbondanza dei pathway predetta in silico è stato possibile identificare un sottogruppo di 10 vie metaboliche differentemente espresse nel gruppo con alopecia areata. Tra queste, quelle relative a: movimento batterico, assorbimento di minerali, trasporto, espressione di antigeni cellulari, degradazione di glicosamminoglicani, metabolismo di sfingolipidi e lisosomi, divisione cellulare, digestione e assorbimento proteico e metabolismo energetico. Tutte, ad eccezione del trasporto e dell’assorbimento di minerali, hanno infatti registrato un’espressione significativamente maggiore nei pazienti.
Con lo scopo di identificare eventuali biomarcatori nei campioni di biopsia, è stata confrontata l’espressione di geni (TNF-α, FAS, KCNA3, NOD-2, e SOD-2) correlati a infiammazione e apoptosi, entrambi segni clinici di alopecia. Tranne che per NOD-2, i restanti geni hanno mostrato un’espressione maggiore nel gruppo con alopecia areata, seppur rapporto diverso a seconda dello strato di pelle (epidermide profonda, derma e ipoderma). L’espressione di TNF-α, per esempio, è risultata maggiore nel gruppo con alopecia areata a livello dell’epidermide profonda e del derma, nessuna differenza invece nell’ipoderma rispetto ai controlli.
L’espressione di tali marcatori è correlata al profilo batterico? Sembrerebbe di sì, infatti:
- FAS e SOD2 hanno mostrato correlazione negativa con i generi Anaerococcus, Neisseria e Acinetobacter; KCNA3 con Anaerococcus, SMB53 e Staphylococcus; NOD2 con Staphylococcus e SMB53
- associazione positiva invece tra NOD2 e Anaerococcus, Neisseria e Acinetobacter; SOD2 con Staphylococcus, Candidatus Aquiluna e due generi non assegnati di Microthrixaceae e ACK-M1.
«È stato inoltre dimostrato – aggiunge Fabio Rinaldi – come altri recettori, i JAK (Janus chinasi), coinvolti anche in questa patologia con un ruolo nel processo infiammatorio-immunitario, siano influenzati da ceppi batterici. Farmaci inibitori di questi recettori sono attualmente in uso per l’alopecia areata. Dato il loro costo elevato, e soprattutto i loro effetti collaterali, non rappresentano però l’opzione terapeutica migliore».
Infine, confrontando il profilo metabolico urinario, con particolare attenzione ai composti volatili, in entrambi i gruppi sono stati identificati 62 metaboliti potenzialmente coinvolti in funzioni biologiche e appartenenti a differenti classi chimiche (chetoni, alcoli, terpenoidi ecc.). Tra questi, composti quali mentolo, metanetiolo, diidrodeidro-beta-ionone, 2,5-dimetilfurano e 1,2,3,4, tetraidro-1,5,6-trimetil naftalene sono risultati significativamente più presenti nel gruppo con alopecia areata.
Conclusioni
«Per il ruolo dimostrato dal microbioma nell’alopecia areata, terapie topiche con postbiotici e/o lisati batterici possono essere considerate valide opzioni per il trattamento, anche se ancora in fase di sviluppo. Considerando poi la traslocazione nello scalpo di ceppi patogeni che di norma colonizzano l’intestino, come Akkermansia e Prevotella, si può concludere che anche la dieta gioca un ruolo importante in questa patologia. Molti pazienti con disturbi infiammatori intestinali presentano infatti alopecia probabilmente a causa di un “leaky gut”, ossia di un’alterata permeabilità intestinale. Controllare la disbiosi potrebbe quindi essere utile per controllare la malattia» conclude Fabio Rinaldi.