Cosa c’entra una parola presa in prestito dal mondo musicale con tutto ciò che abbiamo visto, letto e discusso nel corso del 2024 sul fronte del microbioma e dei probiotici?
È difficile trovare un termine che riassuma in modo “secco” il sentimento comune di migliaia di persone che a vario titolo e grado si occupano di microbioma. Ci abbiamo riflettuto a lungo e alla fine abbiamo deciso: «armonia» è una parola che evoca equilibrio e accordo, regole condivise.
Più regole sui test del microbiota intestinale
Partiamo dai fatti più recenti. A metà dicembre è stato pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology il primo documento di consenso internazionale, guidato da un team di medici e ricercatori italiani, che punta a definire le migliori pratiche per condurre i test sul microbiota intestinale. Una sorta di guida al corretto uso clinico.
L’obiettivo? Contrastare la proliferazione di test commerciali non validati. Sappiamo che molti medici hanno difficoltà a interpretare i risultati di questi test e sono spesso scettici nei confronti dei pazienti che chiedono loro di sottoporsi a questo esame.
Da qui la necessità di armonizzare, ecco che torna l’armonia, l’offerta di questi test, i requisiti tecnologici che devono avere gli strumenti impiegati e il modo in cui vengono redatti i report.
Può sembrare un aspetto secondario, ma non è così. Al momento questi esami sono ancora poco utilizzati, ma riscuotono un grande interesse da parte dei pazienti. Anche per questo si sta registrando un aumento delle aziende che li vendono. E le indagini di mercato a livello globale prevedono un aumento del fatturato intorno a questi servizi.
Come abbiamo osservato in altre occasioni, il mercato in ambito sanitario non si regola da solo. E i rischi per la salute delle persone non si possono trattare con leggerezza. Da qui la necessità che gli scienziati definiscano regole e paletti ben precisi. È solo il primo passo, sono convinto che nel prossimo vedremo altre operazioni volte a uniformare questo argomento.
Pediatri sulle colonne di Nature
Qualche settimana fa, sulla rivista Nature, è comparso un articolo nella sezione “outlook” che riporta le prese di posizione di Stacy Kahn, pediatra gastroenterologa presso il Boston Children’s Hospital negli USA. Secondo l’esperta è opportuno, in questo momento storico, andarci piano con la somministrazione di probiotici nei neonati. Ma soprattutto invita a usare molta, moltissima cautela, con il trapianto di microbiota fecale.
Pur nella consapevolezza dei notevoli passi avanti che la ricerca in questo ambito ha fatto, in particolare negli ultimi due decenni, la pediatra sottolinea «l’importanza che i medici valutino se il trapianto fecale o un altro intervento sul microbioma sia adatto al loro paziente. Ma i test del microbiota “diretti al consumatore”, in cui le persone inviano campioni di tamponi fecali, orali o vaginali alle aziende per l’analisi, possono aggirare questo parametro etico».
Kahn ha vissuto in prima persona il danno che può essere causato da un trapianto di microbiota fatto in casa con un kit acquistato online. Ricorda il caso di un bambino con una malattia infiammatoria intestinale (IBD) finito in ospedale perché il dolore addominale e la diarrea erano peggiorati dopo un trapianto fai-da-te eseguito da un familiare non sottoposto a screening. «Potresti pensare di far stare meglio le persone, ma in realtà stai correndo un rischio enorme e stai davvero compromettendo la sicurezza del paziente» ha commentato.
Anche in questo caso l’articolo di Nature solleva la necessità di dotarsi di regole che possano armonizzare il ricorso alla modulazione del microbiota intestinale in modo che i piccoli pazienti non corrano pericoli non necessari.
Postbiotici, definizione in alto mare
Un altro fronte caldo è quello della definizione di potbiotico, sulla quale non c’è ancora un consenso unanime. E sarebbe davvero il momento di trovare una definizione condivisa.
Nel 2023 è stato pubblicata una dichiarazione di consenso da parte dell’International Scientific Association of Probiotics and Prebiotics, secondo cui i postbiotici sono “una preparazione di microrganismi inanimati e/o dei loro componenti che conferisce benefici per la salute dell’ospite”.
Ma, nonostante l’obiettivo fosse quello di stabilire una regola, il consenso non è stato raggiunto. È troppo stretta? È troppo larga. Le opinioni sul tema sono davvero tante.
Ci sono tre livelli intorno a questa discussione. Livelli che corrispondono anche a tre aree di interesse: c’è la ricerca, che ragiona in termini scientifici. Uno su tutti: il metodo applicato per “uccidere” i microbi. E a seguire, il tema della stabilità del composto postbiotico, il medium di fermentazione impiegato, il meccanismo d’azione.
Il secondo livello è quello del marketing e della comunicazione ai consumatori. Cosa possono dire le aziende che commercializzano postbiotici? Li possono chiamare in questo modo? Dal punto di vista di un’azienda, il tema principale è il “beneficio” che può comunicare al consumatore. I cittadini sono sempre più attenti alla salute e sono sempre più interessati all’origine della molecola che stanno assumendo.
Infine, gli aspetti regolatori, che si intrecciano ai primi due livelli. Le autorità sanitarie hanno bisogno dei dati scientifici (e di un consenso generale intorno ad essi) per poter definire una cornice normativa in cui le aziende (secondo livello) potranno muoversi.
Su questo fronte, l’armonia tanto auspicata sembra ancora in alto mare.
Il marketing delle aziende
Qui sembra che un po’ di chiarezza ci sia, ma poi nella realtà vediamo ancora molta confusione. Cosa è possibile comunicare intorno a un probiotico sul proprio sito aziendale? Fino a che punto ci si può spingere senza incorrere in problemi legali? Come cambia la comunicazione se ci si rivolge a un operatore sanitario?
Abbiamo affrontato di recente questa tematica in un articolo che trovate qui. Anche in questo caso l’armonia, seppure presente sulla carta, non sembra essere seguita in modo preciso.
Diciamo che è come se ogni musicista che compone l’orchestra legga un proprio spartito. Con il risultato che il rumore di fondo diventa altissimo.