La sola attività fisica è in grado di modificare il microbiota intestinale dell’uomo in termini di composizione e funzionalità. È quanto hanno osservato Jacob M. Allen e il suo gruppo di ricerca all’University of Illinois at Urbana-Champaign, soprattutto in soggetti normopeso e in relazione all’esercizio continuato nel tempo, attraverso uno studio recentemente pubblicato in Medicine & Science in Sports & Exercise.
Nonostante infatti l’attività fisica fosse stata più volte associata ad alterazioni nella composizione batterica dell’intestino, non era stato ancora approfondito, almeno fino a questo studio, il suo contributo nel tempo oltre che il suo effetto in soggetti normopeso vs obesi.
A questo proposito, i ricercatori hanno voluto determinare l’impatto che l’esercizio fisico continuativo ha riportato sulla composizione, sulle capacità funzionali e sulla produzione di particolari metaboliti del microbiota intestinale di 32 individui sedentari, dei quali 18 normopeso (gruppo 1) e 14 obesi (gruppo 2).
Dai 30 ai 60 minuti di attività fisica tre volte alla settimana
Nel dettaglio, i soggetti arruolati erano chiamati a praticare, sotto la supervisione di personale medico, dai 30 ai 60 minuti di esercizi aerobici di moderata/alta intensità tre volte a settimana per sei settimane.
Successivamente a questo periodo di incrementata attività, e dopo un opportuno intervallo di “washout”, ne è seguito un altro di analoga durata al primo durante il quale i soggetti hanno ripreso le loro abitudini sedentarie. Non sono invece state apportate modifiche nella loro dieta.
Al fine di determinare i reali cambiamenti a livello di microbiota in seguito all’incremento di esercizio fisico, sono stati prelevati campioni fecali da tutti i soggetti inclusi nello studio rispettivamente alla baseline, dopo le 6 settimane di movimento e infine al termine del periodo di ritorno alla sedentarietà. Oltre alle analisi condotte sul materiale raccolto, si è andata a studiare anche l’eventuale modifica del rapporto massa grassa/magra e la potenza aerobica quantificata con VO2max , cioè il volume massimo di ossigeno consumato in un minuto. Infatti, tanto maggiore è il valore di VO2max , tanto più a lungo si è in grado di sostenere esercizi di intensità più elevata, o, a pari intensità, esercizi di più lunga durata rispetto a soggetti caratterizzati da VO2max inferiori.
Attività fisica: i vantaggi osservati nell’indagine
Dai risultati ottenuti possiamo dunque affermare che l’esercizio fisico:
migliora la composizione corporea e la potenza aerobica: dopo le 6 settimane di allenamento si è riscontrato, da una parte, un generale incremento della massa magra e della densità ossea, dall’altra, una diminuzione di quella grassa. È stato inoltre dimostrato un aumento degli indici di VO2max nelle performance di cardiofitness per entrambi i gruppi. Questi risultati sono stati tuttavia invertiti dal ritorno alla sedentarietà che ha determinato complessivamente un ritorno ai valori registrati alla baseline;
modifica la composizione del microbiota e la produzione di SCFAs a seconda del BMI: al reclutamento, il microbiota intestinale di soggetti normopeso si è mostrato differente in termini di composizione da quello dell’altro gruppo e ha riportato una risposta diversa all’esercizio fisico. L’incremento di acidi grassi a catena corta (SCFAs), in particolar modo di butirrato, è stato riscontrato infatti principalmente in soggetti normopeso nel periodo concomitante all’esercizio fisico. Anche in questa occasione al termine dello studio, quindi dopo le sei settimane di ripresa delle abitudini sedentarie, i valori sono ritornati simili a quelli di partenza.
Ad un incremento della concentrazione di SCFAs in seguito al periodo di attività fisica, si è affiancato, come era plausibile, un aumento anche dei batteri producenti butirrato quali Roseburia spp., Lachnospira spp., Clostridiales spp., Faecalibacterium spp. e Lachnospiraceae spp soprattutto nei soggetti normopeso.
Al contrario, Bacteroides spp. e Rikenella spp. si sono dimostrati negativamente correlati al cambiamento di concentrazione sia del butirrato sia, a livello genetico, del BCoAT (acetate CoA transferase gene).
Inoltre, sebbene l’esercizio fisico abbia riportato un miglioramento nella composizione corporea di entrambi i gruppi, come precedentemente detto, nei normopeso è risultato più marcato.
Tale differenza potrebbe esser spiegata attraverso i benefici che gli SCFAs, incrementati soprattutto in questi soggetti, comportano nel favorire la sensibilità insulinica e il senso di sazietà oltre che nel ridurre eventuale infiammazione. Tutte queste caratteristiche potrebbero infatti concorrere all’aumento di massa magra vs quella grassa.
Tuttavia, benché sia stato già dimostrato come l’esercizio fisico aumenti la concentrazione fecale di SCFAs sia da studi in vivo, tra i quali se ne colloca uno degli stessi autori di questo lavoro, sia da precedenti studi clinici, il meccanismo che ne sta alla base rimane ad oggi ancora poco chiaro.
In conclusione, l’esercizio fisico modifica la composizione e la funzionalità del microbiota intestinale dell’uomo indipendentemente dalla dieta seguita, ma in relazione allo status di peso corporeo. Ciò nonostante, i benefici ottenuti durante un periodo di attività continuativa vengono persi se si ritorna ad una condizione di sedentarietà.