Numerosi studi mostrano che il microbiota intestinale è in grado di influenzare lo sviluppo della sindrome metabolica. I microrganismi intestinali possono esacerbare in parte la malattia metabolica attivando le vie infiammatorie e producendo composti che alterano la segnalazione e il metabolismo dell’ospite. D’altro canto, il microbiota può anche svolgere ruoli protettivi nei confronti delle malattie metaboliche.
Tra le fibre alimentari ci sono i carboidrati accessibili al microbiota (MAC), come inulina, pectina e amidi resistenti. Essi possono favorire la crescita di batteri benefici, promuovere la funzione della barriera intestinale, ridurre l’infiammazione sistemica e prevenire alcuni degli effetti dannosi causati da una dieta ricca di grassi.
Ad ogni modo, gli studi condotti sull’uomo hanno mostrato effetti benefici diversi tra gli individui in seguito al consumo dello stesso tipo di fibra.
Tali differenze interindividuali del microbiota intestinale possono influenzare le risposte metaboliche al consumo di fibre alimentari nell’uomo. Tra i fattori che sembrerebbero contribuire a queste differenze rientrano quelli genetici, ambientali, legati allo stile di vita e alla composizione del microbiota intestinale.
L’ipotesi fatta da un gruppo di ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Microbiome, è che il modo in cui i microrganismi intestinali metabolizzano la fibra alimentare rappresenti un fattore importante e cruciale per la modulazione del microbiota intestinale e di conseguenza per la salute dell’ospite.
Fibre prebiotiche e microbiota intestinale
Al fine di esaminare come la composizione del microbiota intestinale moduli le risposte dell’ospite a diversi tipi di fibra, sono stati scelti due tipi di comunità intestinale umana. La scelta è stata fatta sulla base delle differenze, mostrate dopo essere stati trapiantate nei topi, nella diversità alfa, nelle proprietà metaboliche e nella capacità di produrre butirrato.
I campioni fecali, ottenuti da adulti intorno ai settant’anni, sono stati utilizzati per colonizzare otto gruppi di topi germ-free, C57BL/6, maschi e adulti (n=24/campione fecale).
I topi sono stati nutriti, per una settimana, con una dieta caratterizzata da fibre comunemente disponibili in commercio, tra le quali amido resistente (RS) di tipo 2 e 4, frutto-oligosaccaridi a catena corta (scFOS), inulina e pectina (contenuto totale di fibre 10% peso/peso).
Questa dieta, così come tutte le altre diete utilizzate nello studio, sono state formulate per imitare il consumo di fibra nell’uomo pur mantenendo un livello ben definito e riproducibile.
Gli animali sono stati sottoposti a questa dieta una settimana prima della colonizzazione e mantenuti per altre due settimane dopo l’inoculazione.
Le comunità trapiantate hanno mostrato differenze nella diversità alfa. Inoltre, come previsto, differivano anche nella loro capacità di produrre acidi grassi a corta catena.
I risultati dello studio
Una settimana dopo, i topi (n=66) sono stati colonizzati, tramite sonda gastrica, con uno dei due diversi campioni fecali umani (n=30-36 topi/comunità). I topi colonizzati con queste due comunità sono stati mantenuti sulla stessa dieta per due settimane per consentire la stabilizzazione dei microbiomi innestati.
Dopo questo periodo di stabilizzazione, i topi sono stati suddivisi in quattro trattamenti dietetici isocalorici, per quattro settimane (n=7-10 topi/comunità/dieta) che differivano per il tipo di fibra: cellulosa (fibra non fermentabile), inulina, pectina o fibre miste.
L’analisi del microbioma intestinale ha mostrato che i topi colonizzati con lo stesso donatore, nonostante le diverse diete, hanno conservato un nucleo di specie comune che lo differenzia dai topi colonizzati con l’altra comunità. Sono state evidenziate variazioni nella ricchezza e nell’abbondanza di taxa batterici all’interno di ciascuna comunità in seguito ai diversi trattamenti dietetici.
La dieta a base di inulina ha mostrato in modo più pronunciato le differenze tra le due comunità. Inoltre, quest’ultime sono cambiate costantemente in risposta alle stesse fibre, suggerendo che i relativi taxa di entrambe le comunità rispondono in modo simile a una determinata dieta e che le fibre hanno effetti distinti sull’abbondanza dei taxa.
In aggiunta, le analisi epigenetiche, trascrizionali e metabolomiche dell’ospite hanno rivelato delle differenze direttamente legate alla dieta, inclusa la variazione negli amminoacidi e nelle vie lipidiche che sono associati a stati di salute divergenti.
Conclusioni
Nel complesso, i dati presentati sottolineano l’importanza delle interazioni microbiota-dieta sul metabolismo dell’ospite e suggeriscono che i microrganismi intestinali modulano l’efficacia delle fibre alimentari.
I risultati indicano che l’efficacia degli interventi dietetici, come ad esempio il consumo di fibre alimentari prebiotiche, dipende anche dalla composizione del microbiota intestinale del consumatore.
Infine, approcci univoci e uguali per tutti volti a promuovere la salute, difficilmente sono in grado di garantire effetti coerenti tra gli individui.
L’identificazione di biomarcatori microbici intestinali associati a risposte benefiche a trattamenti comuni potrebbe aiutare a distinguere trattamenti personalizzati più efficaci.