Miliardi di virus risiedono nell’intestino umano, ma il ruolo di queste comunità virali – conosciute collettivamente come viroma umano – rimane un mistero.
Un nuovo studio suggerisce che le alterazioni nella sua composizione contribuiscono allo sviluppo delle malattie infiammatorie intestinali (IBD).
I risultati, pubblicati su Science Immunology, indicano che il viroma umano può essere utilizzato come biomarcatore di alcune condizioni intestinali o in approcci terapeutici.
«Il nostro lavoro dimostra che il viroma contribuisce in modo importante alla salute umana, ma se alterato provoca l’infiammazione tipica delle IBD e presumibilmente molte altre malattie», afferma l’autrice senior dello studio Kate Jeffrey della Harvard Medical School.
Il viroma umano si costituisce alla nascita e le feci possono contenere circa dieci miliardi di particelle simili a virus per grammo.
In diverse patologie, non soltanto gastroenteriche, tra cui cancro del colon-retto, fibrosi cistica e malattie infiammatorie intestinali (IBD), sono state rilevate alterazioni del viroma. Tuttavia, non è ancora noto se e come il viroma umano contribuisca in qualche modo allo sviluppo di malattie.
Per rispondere a questa domanda, Kate Jeffrey e i suoi colleghi hanno analizzato i viromi intestinali di persone sane o con IBD.
Virus che “accendono” l’infiammazione
In primo luogo, i ricercatori hanno isolato i virus da campioni di tessuto asportato chirurgicamente dal colon; quindi, hanno esposto i virus alle cellule immunitarie.
I virus intestinali di persone sane hanno mostrato effetti antinfiammatori, mentre quelli isolati dall’intestino infiammato di persone con IBD sono stati in grado di innescare l’infiammazione.
Se mescolati con il viroma dei pazienti con IBD, i virus raccolti dal colon di soggetti sani sono stati in grado di sopprimere l’infiammazione.
«Questi dati dimostrano sia la potenziale utilità dei virus in un intestino sano, sia la loro capacità di sopprimere l’infiammazione indotta dal viroma in presenza di patologie intestinali», affermano i ricercatori.
Ulteriori esperimenti hanno inoltre dimostrato che sostituire i viromi dei topi con quelli di persone sane protegge i roditori dall’infiammazione intestinale.
Al contrario, i viromi dei pazienti con IBD sono in grado di innescare l’infiammazione intestinale e l’esacerbazione della colite nei topi, e di ridurre l’integrità della barriera intestinale.
Enterovirus B sul banco degli imputati
Il team ha anche identificato virus presenti unicamente nei pazienti con IBD: campioni prelevati dall’intestino infiammato presentavano in particolare livelli elevati di enterovirus, che non erano stati rilevati in precedenti studi sul viroma intestinale.
«È già stato dimostrato che l’infezione da enterovirus B si associa al diabete di tipo 1; infezioni prolungate con questi virus, trasmissibili per via oro-fecale, potrebbero quindi contribuire allo sviluppo di disturbi infiammatori cronici in modo più ampio», affermano i ricercatori.
Precedenti studi hanno dimostrato che l’enterovirus B può essere rilevato da un recettore chiamato MDA5 e che le mutazioni nel gene che codifica per questo recettore sono correlate alle IBD. Kate Jeffrey e il suo team hanno scoperto che le cellule epiteliali intestinali umane con mutazioni nel recettore MDA5 mostrano un danno maggiore se esposte ai viroma di pazienti con IBD.
Eliminare i virus intestinali che favoriscono lo sviluppo della malattia o sostituirli con virus che promuovono la salute potrebbe quindi essere utile per le persone con IBD.