I probiotici sono spesso raccomandati nel trattamento dell’infezione da Clostridium difficile, ma portano a reali cambiamenti?
Risultati incoraggianti in questo senso arrivano dallo studio coordinato da T.J. De Wolfe, della University of Wisconsin – Madison School of Medicine and Public Health, e pubblicato sulle pagine di PLOS ONE. I probiotici testati hanno infatti influenzato la composizione e la funzionalità del microbioma in pazienti colpiti dall’infezione.
La ricerca: 33 pazienti con infezione da Clostridium difficile
I ricercatori hanno trattato 33 pazienti affetti da C. difficile rispettivamente con placebo o con una combinazione di probiotici 1.7 x 1010 CFUs per quattro settimane (L. acidophilus NCFM, ATCC 700396; L. paracasei Lpc-37, ATCC SD5275; B. lactis Bi-07, ATCC SC5220; B. lactis B1-04, ATCC SD5219). Al periodo di intervento ne è seguito un altro di follow-up di pari durata. Di seguito i principali risultati ottenuti dall’analisi di campioni fecali raccolti al baseline, dopo le 4 settimane di trattamento e al termine del follow-up:
- in base all’indice di dissimilarità Bray-Curtis, i campioni hanno mostrato differenze significative in base sia al trattamento sia al tempo di raccolta
- né l’alpha né la beta-diversity hanno presentato differenze statisticamente significative tra i due gruppi
- la famiglia Verrucomicrobiaceae è risultata significativamente ridotta nel gruppo con probiotici al termine dello studio, il genere Bacteroidetes invece solo dal baseline al termine del trattamento
- il genere Ruminococcus ha mostrato maggiore espressione al termine dello studio rispetto alla quarta settimana nel gruppo placebo e rispetto al baseline nel gruppo in trattamento
- il gruppo placebo ha registrato un arricchimento nelle vie metaboliche correlate al trasporto del ferro e di alcuni amminoacidi, metionina e glutammina in particolare
- il complesso di trasporto per gli antibiotici, nonché il metabolismo del carbonio e dei glicerolipidi, hanno mostrato maggiore attività nel gruppo con probiotico
Diversi probiotici allo studio per questa patologia
Tra le limitazioni dello studio sottolineate dagli stessi autori troviamo, per esempio, il ridotto numero di soggetti inclusi e la breve durata dell’osservazione. A queste possiamo aggiungere il ristretto numero di ceppi testati a fronte di un ben più ampio panorama.
Evidenze di letteratura dimostrano infatti come, ad esempio, anche il probiotico L. casei Shirota abbia una certa efficacia nel trattamento oltre che nella prevenzione dell’infezione da C. difficile e di ciò che ne consegue.
Tra questi, Martinez et al. (2003) e Stockenhuber et al. (2008) hanno visto una consistente riduzione dello sviluppo di diarrea associata a C. difficile in pazienti (pediatrici e adulti) trattati simultaneamente con antibiotici ad ampio spettro e il supplemento giornaliero di L. casei Shirota rispetto al gruppo di controllo privo del probiotico (0% vs 15% e 5% vs18% rispettivamente).
Wong S et al. (2015), con un’indagine che ha coinvolto nove strutture sanitarie in differenti Paesi, riporta inoltre un’ampia diffusione di questo ceppo nella pratica clinica corrente proprio per il trattamento di diarrea associata a C. difficile (57% L. casei Shirota, 43% L. casei DN114001) supportandone una reale efficacia e applicabilità nel contesto quotidiano.
Risultati da confermare
In conclusione, sulla base di questo lavoro, possiamo dunque affermare come il trattamento combinato di probiotici influenzi in parte la composizione e la funzionalità del microbiota. Ulteriori studi sono però necessari al fine approfondire le caratteristiche e le conseguenze di questi cambiamenti in pazienti con infezione da C. difficile oltre che le reali potenzialità dei diversi probiotici.