Una condizione di disagio psicologico impatta negativamente sul benessere intestinale, e viceversa. Ciò lo si deve principalmente all’asse intestino-cervello, canale di comunicazione bidirezionale che sta mostrando un impatto via via crescente sulla nostra salute fin dalla tenera età. Capirne le dinamiche è perciò importante nella messa a punto di strategie personalizzate.
È quanto riassume la revisione condotta dal gruppo di ricercatori italiani coordinati da Angela Ancona della Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS di Roma, di recente pubblicata su Digestive and Liver Disease.
Microbiota e cervello
L’insieme di microrganismi che popola il nostro corpo, intestino in questo caso, e che prende il nome di microbiota è a dir poco variegato, numeroso, mutevole e relazionato con i membri della comunità oltre che con l’ospite.
I batteri che ne fanno, in generale, da padroni sono Bacteroidetes e Firmicutes in particolare seguiti da Proteobacteria, Actinobacteria e Fusobacteria. Molti sono però i fattori intrinsechi dell’individuo (età, sesso, patologie) ed esterni (dieta, ambiente, fumo ecc.) che ne influenzano le caratteristiche e, per questo, da considerare quando si pianifica e/o verifica un trattamento.
Il microbiota è però tutt’altro che un sistema passivo. Molti dei metaboliti batterici, infatti, hanno mostrato di modulare a loro volta (tra le altre) varie funzioni cerebrali. Di contro, stress psicologici possono modulare l’attività metabolica del microbiota e di conseguenza alterare l’ambiente gastrointestinale. Fase delicata per il mantenimento di questo equilibrio è, in particolare, quella della prima infanzia considerando la centralità di quegli anni nello sviluppo della componente batterica, come del resto del sistema neuronale e immunitario.
Ma cosa si sa di questo dialogo bidirezionale? Chi sono gli attori principali? Quali le conseguenze di un’eventuale alterazione a monte (sistema nervoso comprensivo di quello centrale, autonomo ed enterico) o a valle (microbioma intestinale)? Ecco cosa dicono le principali evidenze qui riassunte relative in particolare all’incidenza di disturbi del comportamento in pazienti con patologie intestinali (Irritable Bowel Syndrome, IBS o Inflammatory Bowel Disease, IBD), e di come le terapie con target neurologico impattino sulla componente batterica intestinale.
Intestino, ansia e depressione
La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è il disordine gastrointestinale a base infiammatoria più diffuso; è caratterizzato da dolore addominale cronico, disagio e alterata funzionalità intestinale correlati a costipazione e/o diarrea.
Confrontando il profilo batterico di questi pazienti con quello di individui sani si è visto un generale incremento di Firmicutes e Proteobacteria, con un decremento di Bacteroidetes, Actinobacteria e Verrucomicrobia oltre che di Lactobacillus, Bifidobacterium, e Faecalibacterium prausnitzii.
La prevalenza di disordini dell’umore in pazienti con IBS è alta, il 94%, con ansia e depressione tra le forme più comuni. Labus et al. nel 2017 hanno inoltre dimostrato correlazioni tra le caratteristiche batteriche e la struttura cerebrale. Pazienti con IBS, infatti, hanno mostrato una maggiore espressione di Firmicutes e Clostridia, e minore di Bacteroidetes rispetto ai controlli sani.
Non solo. L’abbondanza di Bacilli (phylum Firmicutes) ha registrato associazione con il volume di determinate aree cerebrali appartenenti al sistema limbico (nucleo accumbens, corteccia prefrontale, corteccia cingolata ventrale posteriore) attivamente coinvolto nelle funzioni cognitive, emozioni, umore, memoria e auto-consapevolezza.
Differenze anche nell’abbondanza di ceppi appartenenti a Clostridiales coinvolti nella modulazione della serotonina e della percezione del dolore.
A confermare un trend di separazione tra pazienti con IBS e controlli anche la revisione sistematica di Rapat Pittayanon et al. dove si è tracciata una diminuzione di Clostridiales, Faecalibacterium incluso Faecalibacterium prausnitzii e Bifidobacterium.
Anche nelle IBD…
Passando poi all’infiammazione cronica intestinale, o IBD, si è registrato in questi pazienti un danno all’intera barriera mucosale, con conseguente penetrazione batterica e alterata composizione e struttura del microbioma locale.
Aumentata si è in particolare mostrata l’espressione di patogeni come Veillonellaceae, Pasteurellacaeae, Enterobacteriaceae e Fusobacteriaceae contrapposta a una diminuzione dei cosiddetti “batteri buoni” quali Bacteroidales, Erysipelotrichales, e Clostridiales, ma anche Lactobacillus, Bifidobacterium and Faecalibacterium. La portata di tale alterazione ha registrato inoltre una correlazione diretta con la gravità del disturbo.
In pazienti con IBD, la prevalenza dei disturbi dell’umore si è mostrata essere del 60-80% durante gli stati attivi della malattia, del 30% durante quelli di remissione clinica. Anche in questi casi l’ansia e la depressione sono le manifestazioni più comuni.
Uno studio condotto su 2.007 pazienti ha dimostrato come la depressione abbia un impatto notevolmente maggiore rispetto all’ansia nell’attivare il disturbo. Soprattutto a causa di un’interruzione precoce o di una non corretta aderenza alla terapia farmacologica dovuta ai sintomi classici depressivi quali la perdita di interesse per le attività quotidiane. L’ansia sembrerebbe invece una condizione più circostanziale.
Il confronto fatto poi da una recente metanalisi ha mostrato come ansia e depressione incidano analogamente su pazienti con IBS e IBD, ma di come nei primi siano di norma più pesanti.
Alessitimia: quale correlazione con il microbiota intestinale?
L’analfabetismo emotivo, meglio definito come alessitimia, è una condizione psicologica per la quale non si è in grado di descrivere e riconoscere sia i propri stati emotivi sia quelli degli altri, né distinguere i sentimenti/emozioni dalle sensazioni fisiche.
In una revisione comprensiva di 48 studi, l’impatto di questo disturbo psicologico è emerso maggiore tra i pazienti con IBD (più nel 66% dei casi) rispetto a quelli con IBS (33%) o patologie epatiche (50%). L’incidenza in persone fisicamente sane è invece del 10-15%.
L’analfabetismo emotivo si correla con un’aumentata capacità di percepire i sintomi gastrointestinali, incidendo negativamente sugli outcome del trattamento. Comparando poi la prevalenza di ansia correlata a disordini gastrointestinali (GSA, Gastrointestinal-Specific Anxiety) e alessitimia in pazienti con IBS dopo 6-12 mesi di trattamento, se ne registra una diminuzione in entrambi i casi con un miglioramento degli outcome clinici parallelo alla diminuzione della percezione del dolore.
Uno studio italiano condotto su 170 pazienti con IBD (Crohn e colite ulcerosa) si è visto come i soggetti con alessitimia più grave avevano una maggiore probabilità di scambiare reale dolore con stati ansiosi, riportando un insuccesso terapeutico più accentuato.
Farmaci psicotropi: gli effetti sul microbiota
Alterazioni nella diversità e ricchezza batterica influenzano anche la trasmissione dopaminergica, noradrenergica e serotoninergica. Di contro, terapie per trattare disordini neurologici potrebbero impattare sul microbiota. Vediamo qualche esempio.
Il patogeno E. coli O157:H7 (EHEC) ha dimostrato un aumento di proliferazione in relazione a dopamina associato a una maggiore virulenza e motilità. Gli inibitori del re-uptake della serotonina (SSRIs) sono i farmaci di prima linea, nonostante il loro limitato successo terapeutico causato soprattutto da vari effetti avversi (calo o aumento ponderale). A questi si aggiunge una significativa alterazione tempo-dipendente della comunità batterica con, in particolare, una diminuzione di Lactobacillus johnsonii e Bacteroidales S24–7 coinvolti nel metabolismo energetico e mantenimento ponderale.
L’uso di antidepressivi ha inoltre mostrato una riduzione nell’abbondanza di Ruminococcus, Adlercreutzia e Alphaproteobacteria. Di contro, Ruminococcus flavefaciens o Adlercreutzia equolifaciens hanno mostrato di ridurre l’effetto di duloxetina.
Passando poi all’ansia, non ci sono specifiche evidenze che supportano l’impatto di trattamenti ansiolitici sulla componente batterica. Di contro però, i sintomi ansiosi potrebbero essere alleviati agendo con una modulazione mirata del microbiota.
Il ruolo degli psicobiotici
È di recente scoperta che certi batteri, sostenuti da altrettanti specifici nutrienti, abbiano effetti positivi sulla salute mentale, supportando l’esistenza di un asse denominato quindi “nutrizione-intestino-cervello”.
Entrano quindi in campo i probiotici ossia “microrganismi vivi che se somministrati in quantità adeguata conferiscono benefici alla salute dell’ospite”, spesso somministrati in combinazione. Se l’effetto positivo ha come target il sistema nervoso centrale passano sotto il nome di “psicobioti” in quanto in grado di influenzare la relazione intestino-cervello.
Ad esempio, la somministrazione di latte fermentato contenente Lactobacillus casei Shirota a volontari sani per tre settimane ha mostrato di modulare positivamente l’umore con riduzione di episodi depressivi. Effetti analoghi con il mix probiotico a base di Lactobacillus helveticus R0052 e Bifidobacterium longum R0175 o Bifidobacterium bifidum W23, Bifidobacterium lactis W52, Lactobacillus acidophilus W37, Lactobacillus brevis W63, Lactobacillus casei W56, Lactobacillus salivarius W24, e Lactococcus lactis W19 e W58 per 30 giorni.
Benefici emozionali anche su pazienti con IBS. Lactobacillus rhamnosus, ad esempio, ha dimostrato di ridurre l’ansia e la sintomatologia gastrointestinale. Il mix Lactobacillus plantarum (CECT7484 e CECT7485) e Pediococcus acidilactici (CECT7483) ha poi mostrato di aumentare in generale la qualità di vita di questi pazienti.
Conclusioni
Per concludere dunque, i disturbi gastrointestinali sono peggiorati da situazioni di disagio psicologico e viceversa, suggerendo l’importanza di mantenere un equilibrio in entrambi gli estremi dell’asse intestino-cervello. Il microbiota intestinale sta diventando un target sempre più gettonato nel trattamento non solo di patologie locali, ma anche extra-sede, quelle psicologiche incluse.
L’uso di psicobiotici, se mirato, potrebbe quindi notevolmente migliorare la salute generale dell’ospite. Al momento, le limitazioni principali sono la mancanza di una procedura standardizzata per la diagnosi e la valutazione della gravità di ansia e/o depressione, ad esempio, e dei loro effetti in patologie gastrointestinali.
La maggior parte delle valutazioni si basano infatti su dati soggettivi e perciò minati da possibili alterazioni anche involontarie. L’alleanza tra medici, psicologi e paziente è perciò fondamentale per improntare la corretta strategia terapeutica.