È stato dimostrato che i batteri intestinali possono vivere all’interno del loro ospite per decenni, ma non è ancora chiaro come il microbiota persista ed evolva. Un recente studio ha identificato tre strategie di dispersione (dispersal strategies) per valutare la persistenza dei batteri intestinali umani.
«Il nostro studio ha dimostrato quali batteri intestinali sono strettamente associati al loro ospite e quali sono più inclini a trasferirsi da un ospite all’altro. Si tratta di indicazioni importanti per sviluppare probiotici e prebiotici e per mettere a punto la maggior parte delle applicazioni mediche mirate al microbioma intestinale umano», afferma l’autore principale dello studio Falk Hildebrand del Quadram Institute Bioscience. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Cell Host & Microbe.
Comprendere le strategie di dispersione, nonché la trasmissione e la colonizzazione batterica, potrebbe aiutare a individuare i batteri che necessitano di protezione e quelli che possono essere sostituiti.
Per esaminare i meccanismi di persistenza del microbiota, un team di ricercatori, guidati da Falk Hildebrand e Peer Bork dell’European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg, ha esaminato campioni di feci di oltre 2.000 persone, inclusi individui appartenenti alla stessa famiglia. I campioni provenivano da studi precedentemente pubblicati, durante i quali i volontari hanno fornito una media di 2-3 campioni fecali per diversi mesi.
Strategia di dispersione dei batteri intestinali
I ricercatori hanno scoperto che la maggior parte dei ceppi batterici che fanno parte del microbiota intestinale è estremamente persistente, con una probabilità che un ceppo sia presente nell’intestino dell’ospite per almeno un anno di oltre il 90%.
Nei bambini, invece, la persistenza media dei ceppi batterici scende all’80%.
L’analisi ha inoltre rivelato che alcuni batteri intestinali, come Bacteroidota, si sono adattati bene al loro ospite umano e possono essere estremamente persistenti tra individui, famiglie e aree geografiche.
Man mano che il loro ospite cresce, questi batteri sono in grado di persistere nell’intestino passando a diverse fonti di nutrimento. I ricercatori hanno chiamato questi batteri “tenaci”. Tuttavia, i batteri “tenaci” hanno maggiori probabilità di essere persi in seguito all’uso di antibiotici.
Un altro gruppo di batteri, chiamati “ereditari persistenti”, sembra essere appunto “ereditato” all’interno delle famiglie. Questi batteri, che includono i Firmicutes, hanno un tasso di turnover più elevato rispetto ai batteri “tenaci”.
Per questo motivo, reinfettare il loro ospite umano è fondamentale affinché questi microbi persistano in un individuo specifico.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che i batteri ”ereditari persistenti” tendono a diffondersi attraverso le spore, il che aiuterebbe la trasmissione all’interno di una famiglia.
Infine, i ricercatori hanno scoperto un terzo gruppo di microbi, chiamato “spazio persistenti“, che tendono a raggrupparsi in una specifica regione geografica, ma non sono associati alle famiglie.
Sostituzione dei microbi intestinali con i probiotici
I risultati suggeriscono che i batteri “ereditari persistenti” potrebbero essere sostituiti quando l’ospite si sposta in un diverso ambiente.
La loro sostituzione potrebbe avvenire mediante terapie a base di probiotici o cambiamenti nella dieta che alterano lentamente l’ambiente intestinale, ma non con trapianti di microbiota fecale.
A differenza dei batteri “ereditari persistenti”, i batteri “tenaci” potrebbero essere sostituiti in modo più permanente, il che spiega anche perché questi microbi sono i più colpiti dalle terapie antibiotiche.
«Gli antibiotici hanno effetti diversi sui batteri, che dipendono da quanto i microbi sono resistenti, dalla loro persistenza intrinseca e da quanto sono sostituibili all’interno del microbioma», afferma Peer Bork.
Conclusioni
In conclusione, lo studio illustra come diverse strategie di dispersione possono consentire ai microbi di persistere nel microbiota intestinale umano.
Inoltre, fornisce informazioni sui danni degli antibiotici sul microbiota, che potrebbero aiutare a sviluppare nuove strategie per mitigare gli effetti di questi farmaci.