Rinforzare la barriera, proteggere il fegato: il ruolo del butirrato

Leaky gut, NAFLD, NASH e cirrosi: gli SCFA rinforzano la barriera intestinale e riducono il carico infiammatorio epatico.
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Rinforzare la barriera, proteggere il fegato: il ruolo del butirrato

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Il fegato è un vero e proprio organo di frontiera: riceve continuamente dall’intestino, tramite la vena porta, nutrienti ma anche batteri, frammenti microbici e metaboliti. Se la barriera intestinale si altera (leaky gut), più endotossine e antigeni passano nel circolo portale e sistemico, attivando cronicamente l’immunità innata e favorendo infiammazione, fibrosi e malattie croniche come NAFLD, NASH, cirrosi, oltre a obesità, malattie cardiovascolari, autoimmuni e neurodegenerative. Da qui l’interesse per strategie in grado di modulare barriera, infiammazione e stress ossidativo, anche tramite specifici integratori come il butirrato.

NAFLD/NASH: un fegato grasso che non è più protetto dall’intestino

La NAFLD (oggi MASLD) e la forma infiammatoria NASH sono la principale causa di epatopatia cronica nei Paesi industrializzati. Diete ricche di grassi e fruttosio favoriscono sia la steatosi epatica sia l’aumento della permeabilità intestinale, esponendo il fegato a più endotossine. 

Nei pazienti con NAFLD/NASH si osservano disbiosi (meno batteri produttori di SCFA, più Proteobacteria endotossigeni), SIBO e leaky gut documentata da rapporto lattulosio/mannitolo aumentato e alterazioni delle tight junctions. Non c’è solo più LPS in circolo: il fegato diventa ipersensibile, con sovraespressione di TLR4/CD14, attivazione di NF-κB e citochine pro-infiammatorie. 

Inoltre, batteri etanologenici aumentano l’etanolo endogeno, potenziando lo stress ossidativo. Così la leaky gut amplifica, più che causare da sola, le “hit” patogenetiche.

Cirrosi: quando la leaky gut alimenta le complicanze

Nella cirrosi epatica la leaky gut è un punto di snodo centrale nella storia naturale della malattia. L’aumentata permeabilità ai batteri e ai loro prodotti è considerata un importante fattore patogenetico per infezioni, peritonite batterica spontanea, encefalopatia epatica e peggioramento dell’ipertensione portale. 

Il microbiota è profondamente alterato: aumentano batteri potenzialmente patogeni (es. Enterobacteriaceae) e si riducono produttori di SCFA come Lachnospiraceae e Ruminococcaceae. 

Questo squilibrio è sintetizzato nel “cirrhosis dysbiosis ratio”, che correla negativamente con MELD ed endotossina e predice insufficienza d’organo e mortalità. Rallentata motilità, SIBO e alterazioni degli acidi biliari (meno forme secondarie antimicrobiche) favoriscono ulteriormente crescita batterica e traslocazione. 

Clinicamente, il rapporto lattulosio/mannitolo è aumentato, soprattutto in pazienti con ascite o epatopatia alcolica, e una metanalisi conferma permeabilità più alta negli stadi avanzati. Ne deriva un flusso continuo di PAMP verso il fegato, con attivazione dei TLR, produzione di citochine e fattori fibrogenici e un circolo vizioso intestino–fegato.

Microbioma, SCFA e acidi biliari: chi rompe e chi ripara la barriera

Disbiosi significa anche alterazione dei metaboliti prodotti dal microbioma. Gli acidi grassi a corta catena (SCFA) – in particolare butirrato, acetato e propionato – sono una fonte energetica cruciale per i colonociti e modulano direttamente le giunzioni serrate, l’infiammazione e lo stress ossidativo della mucosa.

Nelle epatopatie metaboliche e alcol-correlate si osserva spesso una riduzione di batteri butirrogeni (Ruminococcaceae, Lachnospiraceae, Faecalibacterium prausnitzii) con conseguente calo di SCFA fecali e peggioramento dell’integrità di barriera.

Gli acidi biliari costituiscono l’altro grande “linguaggio” dell’asse intestino-fegato: il fegato sintetizza acidi biliari primari, il microbiota li converte in secondari, e questi metaboliti, attraverso recettori come FXR e TGR5, regolano sia la funzione epatica sia quella della mucosa intestinale. 

Nella cirrosi e nelle colestasi croniche la riduzione di acidi biliari totali e secondari sembra favorire una disbiosi di tipo pro-infiammatorio, che a sua volta aggrava permeabilità e traslocazione batterica.

Rafforzare la barriera per proteggere il fegato

Un punto cruciale, per passare dall’associazione alla causalità, è capire se migliorare la barriera intestinale si traduce in benefici epatici.

Una revisione sistematica del 2022 ha identificato 17 studi (15 su modelli murini, 2 nell’uomo) in cui interventi mirati ad aumentare i livelli intestinali di SCFA – tramite butirrato orale/enterale, prebiotici, probiotici o dieti ad alto contenuto di fibre – valutavano sia marcatori di permeabilità sia di danno epatico. 

Quattordici studi hanno riportato un miglioramento significativo della permeabilità, e tutti hanno osservato una riduzione del danno epatico, indipendentemente dall’eziologia (etilica, metabolica, tossica).

Le evidenze nell’uomo sono ancora limitate e metodologicamente fragili (campioni piccoli, mancanza di placebo, misure di outcome eterogenee), ma la direzione è coerente: strategie che aumentano gli SCFA intestinali sembrano ridurre endotossinemia e markers di infiammazione epatica.

Nel contesto della cirrosi, trial con probiotici e antibiotici non assorbibili hanno dimostrato che modulare il microbiota può ridurre endotossinemia, rischio di infezioni e gravità dell’encefalopatia epatica, probabilmente anche attraverso un effetto sulla permeabilità, anche se questa non è sempre misurata direttamente.

Più in generale, le review recenti convergono nel considerare la leaky gut un target terapeutico potenziale, accanto ai bersagli più “classici” (lipotossicità, stress ossidativo, vie metaboliche epatiche).

Implicazioni cliniche: dove siamo e dove potremmo andare

Al momento, la valutazione routinaria della permeabilità intestinale non fa parte dello standard nella gestione di NAFLD/NASH o della cirrosi. I test con lattulosio/mannitolo restano strumenti principalmente di ricerca, e mancano cut-off condivisi e studi prospettici ampi che colleghino in modo robusto il loro valore prognostico agli endpoint clinici “hard”.

Tuttavia, i dati disponibili sono sufficienti per tracciare alcune linee pratiche:

  • intervenire precocemente su dieta e stile di vita (riduzione di grassi saturi, zuccheri semplici, alcol; incremento di fibre fermentescibili) non è solo una terapia “metabolica”, ma anche un modo per preservare la barriera intestinale e il profilo del microbiota;
  • l’uso ragionato di antibiotici e farmaci che impattano sul microbiota (per esempio PPI, FANS) è fondamentale in pazienti a rischio di disbiosi e leaky gut;
  • probiotici, prebiotici, simbiotici e – in casi selezionati – trapianto di microbiota fecale rappresentano opzioni promettenti, soprattutto come co-terapie, anche se servono ancora trial controllati di ampie dimensioni per definire ceppi, dosi e endpoint clinici.

Sul fronte della ricerca, si affacciano strategie ancora più mirate: batteri ingegnerizzati, terapie con fagi, editing di specifici patobionti e modulazione personalizzata basata su profili multi-omici di microbioma e metaboloma. Per ora si tratta quasi solo di dati preclinici, ma l’obiettivo è chiaro: passare da un approccio “non specifico” al microbiota a un intervento di precisione, in cui ridurre la leaky gut diventi uno dei cardini per rallentare la progressione delle epatopatie croniche.

Reference

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Redazione

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