In ginecologia è fondamentale anche l’equilibrio intestinale. Ecco cosa è emerso in un recente live streaming con Francesco De Seta, ginecologo dell’ospedale Burlo Garofolo di Trieste.
Il microbioma vaginale esiste, ed è una realtà che sta rivoluzionando la prevenzione, la diagnosi e le terapie di disturbi e malattie dell’apparato genitale femminile. Un vero e proprio cambio di paradigma, che porta sempre più anche gli specialisti in ginecologia, come già accade abitualmente in gastroenterologia, a parlare di disbiosi.
Lo dimostrano la candidosi e la vaginosi batterica, che oggi non vengono più definite solamente come un’infezione, ma come il risultato di disbiosi.
«Il microbioma vaginale è un sistema complesso», spiega Francesco De Seta, ginecologo dell’ospedale Burlo Garofolo (Trieste). «In particolare, la vagina è l’unico organo dove sono presenti dei lactobacilli, in una concentrazione estremamente elevata, come non si trova in altre specie in natura. Non solo, nella stessa vagina coesistono 20 diversi tipi di lactobacilli, che rappresentano la popolazione principale di questo organo».
Ben 20 tipi diversi, con azioni precise: produrre acido lattico in quantitativi definiti, acidificare l’ambiente vaginale, modulare il pH quando necessario anche attraverso la produzione di batteriocine, cioè di molecole che si comportano come veri e propri antibiotici naturali, in grado di innescare la risposta immunitaria locale.
Equilibrio fragile da tutelare
Tutto bene allora? Purtroppo no, perché questi microrganismi vivono in una condizione di equilibrio fragile, costantemente messo a dura prova da molti fattori, anche se in modo temporaneo, come l’igiene di vita e le abitudini sessuali.
E non solo. «Probabilmente giocano un ruolo gli estrogeni», continua l’esperto. «Se studiamo il microbioma vaginale ad esempio nella fase mestruale, in quella ovulatoria, nel corso della gravidanza, troviamo delle diversificazioni anche qualitative discretamente importanti, e questo a causa delle diverse concentrazioni degli ormoni estrogeni».
È un meccanismo complesso, che punta i riflettori su un nuovo collegamento: l’asse intestino-apparato urogenitale. È stato dimostrato che gli estrogeni per poter svolgere la loro attività devono essere deconiugati: questa azione viene effettuata grazie alla produzione di un enzima (beta-glucuronidasi) da alcune famiglie batteriche intestinali.
Da qui, un nuovo concetto di problemi ginecologici come la sterilità senza una causa ben precisa, di malattie quali la sindrome dell’ovaio policistico, il carcinoma della cervice, che richiedono un approccio più complesso che non può prescindere dal microbioma intestinale.
«Tra i prossimi obiettivi ci sarà quello di comprendere come mai questi due organi, così vicini e collegati, hanno equilibri completamente diversi», sottolinea De Seta. «L’intestino è un sito denso di complessità, e ricco di acidi grassi a catena corta, completamente diverso dalla vagina, dove la diversità è bassa e deve esserci una prevalenza di lactobacilli e invece una bassa concentrazione di questi acidi, al fine di tenere lontano il rischio di fenomeni infiammatori importanti».
L’asse intestino-vagina: i probiotici utili
Le conoscenze relative all’asse intestino-apparato urogenitale hanno cambiato anche l’approccio alle terapie per mantenere o ripristinare l’eubiosi.
Ci vuole innanzitutto il probiotico, che ha un’azione di innesco di una rimodulazione della risposta infiammatoria, di aumento delle difese immunitarie, anche a livello intestinale.
Al probiotico si associano fibre indigeribili, i prebiotici: dagli ultimi studi sembra che specifici prebiotici, come per esempio i galatto e i gluco-oligosaccaridi impiegati a livello locale, cioè in vagina, abbiano un ruolo complesso di modulazione della risposta infiammatoria e non sono un semplice “cibo” per i microrganismi che vivono nel contesto vaginale come si pensava inizialmente.
«Probabilmente inoltre esiste una popolazione di saccaromiceti che rappresenta un equilibratore a livello intestinale», puntualizza De Seta.
«In particolare il Saccharomyces boulardii sembra essere uno dei microrganismi fondamentali nella modulazione della risposta infiammatoria. Nello specifico, questo saccaromicete potrebbe essere d’aiuto nella prevenzione e nel trattamento della Candida albicans. Non scordiamoci infatti che i saccaromiceti sono funghi buoni che hanno la possibilità non solo di modulare la risposta infiammatoria, formare un film protettivo, avere un’azione eubiotica nei confronti dell’intestino, ma anche di esercitare un’azione diretta nell’inibizione della crescita della Candida albicans».
Sono caratteristiche importanti, che probabilmente permetteranno nel futuro di avere sempre più microrganismi nuovi da utilizzare per l’eubiosi, in termini sia di prevenzione, sia di trattamento di alcune infezioni.
Grazie a diversi lavori scientifici su questo tema, sta emergendo che nell’ambito del microbioma, alcuni funghi devono essere in concentrazione elevata e il Saccharomyces boulardii potrebbe essere uno di questi, al contrario di altri e in primo luogo della Candida albicans, che sono patogeni e che come tali devono essere mantenuti in concentrazione minore.
La dieta resta fondamentale
Tutto ciò non cambia il ruolo della dieta, che sembra in grado di modificare addirittura il 60% del microbioma intestinale. In particolare, un lavoro del 2019 ha verificato l’impatto di diversi profili nutrizionali, mediterranea, vegana, vegetariana, chetogenica, sul microbioma e in particolare sulla diversità batterica.
La migliore in questo senso si è dimostrata la mediterranea, ma ad aprire il dibattito è stata la dieta vegana che, nonostante la ricchezza di fibre indigeribili, non apporterebbe grandi benefici alle diversità batteriche.