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Microbioma uterino: l’intestino del feto inizia a popolarsi di batteri a metà gravidanza

Uno studio pubblicato su Nature Medicine mostra nell'intestino fetale batteri vitali in grado di avere azione immunomodulatoria.
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Microbioma uterino: l’intestino del feto inizia a popolarsi di batteri a metà gravidanza

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Stato dell’arte
Alcuni studi sul DNA della placenta e del liquido amniotico hanno dimostrato la presenza di batteri nell’utero, mentre altre ricerche hanno respinto questa ipotesi e attribuito tali risultati alla contaminazione batterica durante l’estrazione.

Cosa aggiunge questo studio
Combinando la rilevazione di molecole batteriche, la microscopia e gli esperimenti ex vivo, questo studio dimostra che nell’intestino fetale umano sono presenti microrganismi che influenzano le prime fasi dello sviluppo immunitario mucosale. Inoltre, i dati ottenuti suggeriscono che i soli metodi molecolari sono insufficienti per supportare o smentire l’ipotesi sulla presunta sterilità dell’utero.

Conclusioni
Quando la gestazione giunge a metà del percorso, nell’intestino del feto sono presenti, in quantità ridotte, batteri vitali. Sono stati identificati alcuni ceppi batterici con capacità immunomodulatoria.

Lo sviluppo del sistema immunitario

Le cellule immunitarie compaiono nell’intestino del feto in via di sviluppo entro la tredicesima settimana di gestazione. In questa fase le cellule T di memoria (linfociti T) sono abbondanti e in grado di attivare la risposta infiammatoria nei confronti di antigeni estranei all’organismo. Questo lascia ipotizzare che specifici microbi potrebbero influenzare l’attività delle cellule T.

Tuttavia, la presenza di microrganismi nell’intestino fetale umano e la loro influenza sull’immunità mucosale non è ancora stata chiarita. In questo studio è stato quindi valutato il modo in cui il microbioma è in grado di influenzare l’immunità nell’intestino fetale.

In primo luogo, per determinare se siano presenti batteri nell’intestino del feto all’interno dell’utero, i ricercatori hanno eseguito un’analisi di microscopia elettronica a scansione (SE) su campioni di ileo terminale fetale da gravidanze interrotte (secondo trimestre di gestazione), mediante la quale sono stati identificati gruppi di strutture cellulari strettamente “impaccate” con morfologia batterica coccoide.

Il microbiota uterino

Per identificare e quantificare i batteri, utilizzando una combinazione di tecniche molecolari tra cui la PCR quantitativa del gene che codifica per l’rRNA 16S e il sequenziamento genico, il team di ricercatori si è concentrato sul segmento medio dell’intestino tenue.

Sono stati così identificati 18 taxa significativamente arricchiti nel meconio fetale rispetto ai controlli (tamponi procedurali e rene fetale).

In particolare, l’analisi dell’rRNA 16S ha rilevato i due taxa meconio fetali più elevati, Lactobacillus-meconium (LM) e Micrococcaceae-meconium (MM). Altri campioni sono risultati variamente arricchiti da altri taxa batterici, inclusi taxa di Lactobacillus e Micrococcaceae, Bacteroides, Bifidobacterium e Prevotella.

Inoltre, i ricercatori hanno analizzato la composizione delle cellule T della lamina propria (LP), accoppiandola con i dati relativi all’rRNA 16S del meconio. I ricercatori hanno così dimostrato che i campioni di LP associati ai marcatori di superficie delle cellule T PLZF+ e CD161+ correlati con meconio sono caratterizzati da un’elevata presenza di MM; inoltre, i campioni di MM hanno mostrato proporzioni significativamente più elevate di cellule T PLZF+ CD161+ rispetto a tutti gli altri campioni.

Linfociti T e risposta infiammatoria

Poiché nell’intestino del feto, i linfociti T che esprimono PLZF e CD16 sono stati precedentemente associate alla risposta infiammatoria, il team di ricercatori ha analizzato i trascrittomi dello strato cellulare epiteliale di campioni ad alto contenuto di MM.

Mediante la gene-set analysis è stato osservato l’arricchimento dei trascritti associati alle cellule staminali epiteliali intestinali (come LGR5, SOX9, NOTCH1 e NOTCH4), ai pathway dei recettori Toll-like (TLR) (NFKB2 e TNFSF15), alla funzione fagolisosomiale (NOS2), alla chemoattrazione delle cellule immunitarie (CXCL1-3 e CCL20) e all’inibizione dei macrofagi (CD200).

Questi risultati indicano quindi che specifici programmi di espressione genica relativi al reclutamento e alla regolazione delle cellule immunitarie sono attivati ​​in campioni ricchi di Micrococcaceae.

I ricercatori si sono quindi concentrati sui batteri fetali isolati dalle co-colture di monociti, usando il sequenziamento dell’rRNA 16S full-lenght e il database SILVA. I batteri classificati come Micrococcus luteus (Micro 36), presentano un vantaggio rispetto ai ceppi filogeneticamente correlati in condizioni di coltura.

Pertanto, i ricercatori hanno studiato ulteriormente Micro 36, scoprendo che questo ceppo è in grado di crescere in condizioni limitanti, come per esempio in presenza di livelli elevati di progesterone e β-estradiolo, in un mezzo di coltura con carbonio limitato e bassa densità cellulare, rispetto a due ceppi di riferimento MicroRef1 e MicroRef2.

Questi dati suggeriscono che le rigide condizioni di crescita determinate dagli ormoni della gravidanza e la bassa disponibilità di substrato nutrizionale consentono una crescita limitata di specifici batteri fetali, controllando così la carica batterica nell’intestino fetale durante la gestazione.

Micro 36, il micrococcus fetale

Poiché è stato possibile isolare Micrococcus solo in co-colture ​​con monociti, i ricercatori hanno ipotizzato che questi batteri siano in grado di sopravvivere durante la gestazione esclusivamente all’interno dei fagociti.

Pertanto, sono state isolate cellule presentanti l’antigene (APC) primarie fetali intestinali HLA-DR+, prive di batteri intracellulari e incubate con Micrococcus isolato dal feto per promuovere la fagocitosi.

Sono stati quindi eseguiti saggi di protezione con gentamicina, che hanno rivelato come Micro 36 rimane disponibile nelle APC 48 ore dopo il trattamento antibiotico.

Questi dati indicano la capacità di Micrococcus di sopravvivere a lungo a livello intracellulare, fornendo così un potenziale meccanismo per spiegare la sua permanenza nell’intestino fetale.

Ulteriori analisi su Micro36 utilizzando il sequenziamento dell’intero genoma hanno dimostrato che l’espressione in Micro36 di 425 geni unici rispetto al controllo (MicroRef1), tra cui due proteine ​​trasportatrici di steroli e una chetoisomerasi steroidea, che degrada gli ormoni steroidei.

Questi risultati potrebbero spiegare perché Micro36 è in grado di crescere in presenza degli ormoni placentari e rimanere vitale nei fagociti, in condizioni di crescita limitanti.

Mediante esperimenti in vitro è stata esaminata la capacità di M. luteus fetale di indurre cambiamenti nell’espressione genica delle cellule epiteliali intestinali fetali umane primarie esposte a Micro36. L’esposizione a breve termine a Micro36 ha solo parzialmente riprodotto le caratteristiche osservate nei campioni di epitelio associati a MM, inducendo l’espressione di TLR6 e del suo regolatore a valle NKFB.

Infine, i ricercatori hanno valutato la capacità di Micro36 di influenzare la funzione delle APC fetali primarie HLA-DR+ ottenute dalla milza: Micro36 è risultato in grado di indurre la produzione da parte delle APC fetali di citochine associate alla maturazione dei macrofagi intestinali e livelli ridotti di TNF-α rispetto ai ceppi di controllo. Inoltre, l’esposizione a Micro 36 ha comportato una riduzione significativa della produzione di IFN-γ nelle APC rispetto al controllo.

Questi risultati indicano che Micro 36 limita la risposta infiammatoria, inibendo la produzione di IFN-γ probabilmente mediante l’induzione di immunotolleranza nelle cellule immunitarie intestinali fetali.

Conclusioni

I metodi migliori per individuare i batteri a bassa carica nell’intestino fetale non sono stati ancora individuati; tuttavia in questo studio l’analisi molecolare associata alla genomica comparativa ha consentito di identificare alcuni taxa batterici non attribuibili alla contaminazione. Ciò dimostrerebbe che le condizioni dell’intestino fetale limitano fortemente la crescita batterica.

I dati ottenuti offrono inoltre una potenziale spiegazione per la sopravvivenza di M. luteus nell’intestino fetale, indipendentemente dalla limitazione dei nutrienti e dagli ormoni della gravidanza. Questi risultati suggeriscono infine che le cellule immunitarie intestinali fetali sono in grado di attivare percorsi infiammatori in risposta ai batteri e che M. luteus fetale può inibire la risposta proinfiammatoria nelle cellule APC.

In sintesi, questo studio mostra che nell’intestino fetale a metà della gestazione sono presenti batteri vitali in quantità ridotte e identifica un potenziale meccanismo batterico di regolazione immunitaria.

Traduzione dall’inglese a cura della redazione

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