Grazie alla presenza di determinati metaboliti e proteine, le vescicole extracellulari rilasciate da Lactobacillus, L. crispatus BC3 e L. gasseri BC12 in particolare, sembrerebbero in grado di proteggerci dall’infezione da HIV diminuendone la virulenza e la capacità di penetrare nelle cellule tissutali e non.
È quanto dimostra l’ampio studio recentemente pubblicato su Nature Communications e coordinato da Rogers A. Nahui Palomino del National Institute of Health (NIH), al quale hanno partecipato anche ricercatori dell’Università di Bologna.
Il ruolo del vaginoma
Il microbiota vaginale (vaginoma), dominato fisiologicamente da vari ceppi di Lactobacillus, svolge un ruolo importante nella difesa del tratto genitale da diversi patogeni, HIV compreso. Tra i possibili meccanismi troviamo:
- l’acidificazione dell’ambiente vaginale
- la cattura dei virioni attraverso le lecitine di membrana
- la stimolazione della risposta immunitaria
- l’inibizione della proliferazione dei patogeni coinvolti nella vaginosi batterica, che rappresentano un fattore di rischio per l’infezione di HIV.
I ricercatori hanno ipotizzato che il microbiota possa agire anche mediante le vescicole extracellulari (VE) prodotte da Lactobacillus e responsabili della comunicazione inter-cellulare. Di seguito i principali risultati ottenuti.
La caratterizzazione delle VE è stata condotta per L. crispatus BC3, L. crispatus BC5, L. gasseri BC12 e L. gasseri BC1, dimostrando che:
- le loro dimensioni sono pressoché simili, dai 133,14 ± 2,90 nm di L. crispatus BC3 ai 141,26 ± 9,78 nm di L. crispatus BC5
- di contro, la concentrazione varia a seconda della specie (3,26 ± 0,11 × 1010/mL per L. crispatus BC3; 1,18 ± 0,32 × 1010/mL per L. crispatus BC5; 5,87 ± 0,20 × 1010/mL per L. gasseri BC12; 1,32 ± 0,44 × 1011/mL per L. gasseri BC13)
- non sono citotossiche.
Volendo dunque testare l’efficacia delle vescicole prodotte contro HIV-1, i ricercatori hanno infettato due linee cellulari umane coinvolte nell’immunità (MT-4 e Jukat-tat) e monitorato i livelli del virus mediante il marcatore proteico p24gag.
Dal confronto delle VE si è visto che, sulla linea cellulare MT-4:
- i livelli di p24gag variano da 3,75 × 104 a 1,29 × 107 pg/mL
- la replicazione virale si è ridotta del 91,88 ± 3,15% quando trattata con VE da L. gasseri BC12, del 59,35 ± 2,34% con quelle da L. crispatus BC3. Nessuna differenza significativa invece con VE da L. crispatus BC5 o L. gasseri BC13.
Lattobacilli vaginali e virus HIV
Sulla base di questi risultati, i ricercatori si sono focalizzati sull’azione di L. gasseri BC12, dimostrandone un effetto anti-HIV dose-dipendente. Somministrando infatti VE in concentrazione pari a 5 × 104/mL si è osservata una riduzione della replicazione virale del 14,59 ± 3,23%, aumentata al 93,48 ± 0,69% raddoppiandone la dose.
Dati simili sono stati ottenuti anche sulla linea Jukat-tat, nella quale, a parità di condizioni sperimentali, L. gasseri BC12 ha inibito la replicazione di HIV-1 dal 33,18 ± 9,16% al 98,71 ± 0,56% in base alle concentrazioni di VE.
L’efficacia anti-HIV è stata inoltre osservata su tessuti umani (tonsille e tessuto cervico-vaginale) con risultati in linea ai precedenti. Anche in questo caso, infatti, le VE da L. gasseri BC12 hanno dimostrato l’attività maggiore inibendo in maniera dose-dipendente la replicazione virale fino al 61,03 ± 5,58% nel primo caso (tonsille) e fino al 59,83 ± 4,92% nel tessuto cervico-vaginale con la più alta concentrazione testata (5 × 108/mL).
In che modo? Le VE sembrerebbero svolgere la loro funzione anti-HIV riducendo l’entrata e l’attacco del virus sulle cellule target, quelle immunitarie, e bloccandone quindi la replicazione. Benché efficaci nel caso di infezioni in corso, il trattamento con VE non ha però dimostrato un’attività preventiva significativa per nessuno dei ceppi.
Infine, i ricercatori hanno valutato il profilo metabolico e proteico delle VE dimostrando che:
- 42 sono i metaboliti identificati (in particolare acidi organici, amminoacidi, zuccheri e basi azotate), 5 dei quali con attività antivirale
- le VE derivanti dai ceppi più attivi (L. gasseri BC12 e L. crispatus BC3) hanno mostrato valori più elevati di metionina, glicina, ipoxantina e glutammato. Di contro, in quelli a minor attività anti-HIV (L. gasseri BC13 e L. crispatus BC5) l’asparagina ha presentato i livelli maggiori
- 18 proteine sono risultate associate a L. gasseri BC12 e L. crispatus BC5, 15 a L. gasseri BC12, 11 a L. crispatus BC5 e 7 sia a L. gasseri BC12 sia a L. crispatus BC5
- 8 proteine (enolasi 2, chaperonina 60 kDa, fattore di allungamento Tu, ATP sintasi sub unità gamma, PrsA 1, ATP-sintasi subunità delta, piruvato chinasi e trioso fosfato isomerasi) sono state identificate solamente in VE rilasciate da L. gasseri BC12, 3 (50S ribosomal protein L4/L21/L2) solo nelle VE da L. crispatus BC5
- la maggior parte delle proteine associate unicamente a L. gasseri BC12 o a L. crispatus BC5 sono citoplasmatiche (44,44%, 45,45%), di membrana (44,44%, 45,45%), o extracellulari (11,11%, 9,09%). Di contro, quelle in comune hanno mostrato attività prevalentemente nel legame con ATP (20,00%, 20,00%), nel trasporto e sintesi di ATP (15,00%, 20,00%), nei meccanismi rotazionali (15,00%, 20,00%), nel legame del magnesio (10,00%, 5,00%) ecc.
Possibili nuove terapie
Nel complesso, tanti i risultati promettenti dunque: «Si tratta di uno studio innovativo sia per l’approccio analitico applicato sia per il suo fine ultimo» afferma Beatrice Vitali dell’Università di Bologna, che con il suo laboratorio ha partecipato allo studio. «Per la prima volta è stata seguita una strada terapeutica contro l’HIV non più strettamente farmacologica, ma che sfrutta risorse naturali come possono essere le vescicole che ogni cellula, lactobacilli compresi, è in grado di produrre. Grazie soprattutto alla collaborazione e alla multidisciplinarietà del gruppo di lavoro si è andati e si continuerà ad andare verso un sempre maggiore approfondimento dei meccanismi d’azione che stanno dietro all’efficacia finora dimostrata dal trattamento».
Quali i progetti futuri? «Sempre attraverso la collaborazione con il gruppo dell’NIH sarà innanzitutto approfondito l’aspetto proteomico, andando a seguire nel dettaglio l’espressione e l’attività di quelle proteine che hanno dato i risultati migliori. Sicuramente il lavoro da fare è ancora molto, ma la strada imboccata sembrerebbe essere quella giusta».