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Modulare il microbiota intestinale per trattare le malattie autoimmuni: a che punto siamo?

Una review su Nutrition in Clinical Practice conferma l’importanza del microbioma intestinale nella maturazione del sistema immunitario.
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Modulare il microbiota intestinale per trattare le malattie autoimmuni: a che punto siamo?

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Stato dell’arte
L’insorgenza globale di malattie autoimmuni è storicamente aumentata parallelamente all’utilizzo diffuso di antibiotici.

Cosa aggiunge questo studio
Lo studio propone una panoramica sul “dialogo” meccanicistico tra il microbioma umano, il sistema immunitario e gli antibiotici. Analizzando due diverse patologie autoimmuni, e cioè la patologia infiammatoria intestinale (IBD) e il diabete di tipo 1 (T1D), gli autori hanno discusso delle malattie associate a disbiosi intestinale, del potenziale ruolo degli antibiotici nello sviluppo e nel trattamento di malattie autoimmuni e della possibilità di manipolare il microbioma intestinale con prebiotici e probiotici.

Conclusioni
Nonostante l’uso ripetuto di antibiotici scateni processi sfavorevoli per l’organismo ospite e in particolare per il suo microbiota, esistono alcune evidenze secondo cui questa categoria di farmaci può rappresentare una terapia per curare malattie autoimmuni.


In una review pubblicata su Nutrition in Clinical Practice si conferma nuovamente l’importanza del microbioma intestinale nello sviluppo e nella maturazione di un sistema immunitario normale. Una serie di disordini microbici (disbiosi) sono stati associati infatti allo sviluppo di diverse patologie autoimmuni. Anche il consumo di antibiotici, spesso non necessario, contribuisce a situazioni di disbiosi e di autoimmunità. A volte però questi farmaci hanno la capacità di migliorare l’outcome di alcune patologie.

Il microbiota umano è costituito da batteri, funghi, lieviti, virus e fagi insieme al loro materiale genetico. Rappresenta il più grande compartimento microbico all’interno del corpo umano, seguito da quello della pelle, quello orale, quello vaginale e anche quello polmonare.

Nonostante una somiglianza di base sia condivisa, si può affermare che ciascun individuo possiede un unico microbioma soggetto a cambiamenti nel corso del tempo.
Con l’avvento delle moderne tecnologie di sequenziamento, le conoscenze sul microbioma umano si sono ampliate profondamente tanto da far aumentare anche il numero di patologie ora associate al microbioma e al suo metaboloma.

Inoltre, l’aumento dell’incidenza di malattie autoimmuni come l’IBD, il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla (MS) e il lupus eritematoso sistemico ha seguito pari passo la diffusione dell’uso di antibiotici.

Nonostante a volte il loro utilizzo sia necessario per contenere malattie infettive, gli antibiotici potrebbero aver causato danni collaterali ai microrganismi commensali: l’abbondanza della flora batterica naturale risulta impoverita e questo causa cambiamenti duraturi nella diversità  e nelle funzioni del microbiota, rendendo l’ospite più vulnerabile a stati patologici.

Microbiota intestinale e il sistema immunitario

Nel corso dell’evoluzione umana, si è instaurata una relazione mutualistica tra l’ospite-uomo e i suoi microganismi-residenti: l’ospite mette a disposizione l’ambiente in cui vivere e i nutrienti per il microbioma intestinale, che di suo invece metabolizza nutrienti e regola l’immunità per l’ospite, proteggendolo da attacchi di agenti patogeni.

Il tratto gastrointestinale è per certi versi una sfida immunitaria piuttosto grande. Durante l’esposizione quotidiana a cibo e acque non sterili, all’ingestione di agenti patogeni e dei loro prodotti secondari, l’intestino è protetto da questi antigeni da uno strato composto da muco e da microbi commensali, una barriera epiteliale, e i tessuti linfatici associati all’intestino (GALT) all’interno della lamina propria. Le cellule calciformi secernono muco e le cellule di Paneth secernono defensine in risposta ad attacchi batterici.
Una risposta immunitaria adattiva può essere controllata nei GALT, dove si concentrano le cellule immunitarie. Una sottopopolazione di cellule T del sistema immunitario, chiamate le T helper (Th1) dirigono l’aumento della risposta cellulo-mediata contro i batteri e i protozoi intracellulari, mentre le Th2 dirigono la risposta umorale diretta contro parassiti extracellulari. Le cellule T regolatrici (Treg) mitigano la proliferazione delle cellule T effettrici per evitare l’autoimmunità; le cellule Th1 17, invece, sono proinfiammatorie e inibiscono la differenziazione delle Treg inducendo l’eliminazione dei patogeni su superfici mucose. La perdita di queste cellule Th1 17 è stata collegata ad infiammazione cronica e a traslocazione microbica.
Dunque, non è sorprendente che il microbioma e il metaboloma intestinale ricoprano un ruolo cruciale nello sviluppo del sistema immunitario. Lo sviluppo del GALT è ridotto drasticamente in topi germ-free (GF), con numero ridotto di cellule T, B e peptidi microbici, come anche un assottigliamento dello strato mucoso.

Mentre la produzione di immunoglobuline A (IgA) è diminuita, quella delle IgE risulta aumentata da una relativa abbondanza di cellule Th2 in topi GF. Di conseguenza, i topi GF sviluppano un’immunotolleranza più bassa agli antigeni e alle risposte allergiche alimentari più severe.
Inoltre, nei topi GF anche la milza e i linfonodi sono sviluppati in modo anormale, con un più basso numero di cellule B e T nel centro germinale e nel centro parafollicolare, rispettivamente.
Nell’uomo, la colonizzazione dell’intestino, della pelle e dei polmoni durante il parto vaginale innesca e forma la risposta immunitaria del neonato e dirige lo sviluppo delle cellule Treg.
Le risposte immunitarie intestinali sono regolate da diverse specie batteriche, inclusi batteri filamentosi come Bacteroides fragilis, Clostridia, Lactobacillus e Bifidobacterium.
Pazienti con patologie autoimmuni possiedono un profilo microbiotico ben distinto: nei primi stadi dell’artrite reumatoide per esempio il microbiota è caratterizzato da un diminuito numero di Bacteroides, di cluster di Clostridia o anche da un numero minore di Bifidobacteriales.

Effetti di questo tipo, comunque, non sono causati solo dai microrganismi stessi ma anche dai loro metaboliti e sotto-prodotti. Acidi grassi a catena corta (SCFAs) come acetato, propionato e butirrato sono prodotti durante la fermentazione batterica di polisaccaridi indigeribili e sono ampiamente riconosciuti come modulatori di risposta immunitaria nelle periferie.
Anche se la causa di molte malattie autoimmuni non sono ancora conosciute, molte di queste insorgono dopo esposizione ambientale in persone geneticamente sensibili. Il concetto secondo cui gli antigeni ambientali sono presentati lungo il tratto gastrointestinale e che una aumentata permeabilità intestinale precede molte patologie autoimmuni, mette il microbioma intestinale al centro dell’ipotesi secondo cui una barriera epiteliale intestinale permeabile è coinvolta nella consegna accidentale di antigeni al GALT, oppure che tra il sistema immunitario dell’ospite e l’antigene avviene una sbagliata comunicazione, che innesca un processo multiorgano che poi porta alla risposta autoimmune.

Di recente, è stato dimostrato che la traslocazione spontanea di un patobionte intestinale, l’Enterococcus gallinarum, nel fegato e in altri tessuti sistemici innesca una risposta autoimmune in un modello murino con un background genetico che predispone al lupus renale.

Il trattamento antibiotico “ferma” la crescita del patobionte nei tessuti ed elimina gli autoanticorpi patogeni e le cellule T. Anche un vaccino intramuscolare che ha come bersaglio il DNA dell’Enterococcus gallinarum previene lo sviluppo di autoanticorpi e quindi la mortalità. Queste scoperte quindi supportano l’evidenza che i patobionti intestinali possono traslocare e promuovere autoimmunità in ospiti già predisposti geneticamente.

Antibiotici e microbiota intestinale

Nei primi anni del XX secolo, il salvarsan o arsfenamina è stato riconosciuto come trattamento elettivo per la sifilide, causata dal Treponema pallidum, batterio Gram negativo. Il termine antibiotico, però, è stato introdotto solo quando Fleming nel 1928 scoprì la penicillina.
Da allora, l’uso di antibiotici è aumentato costantemente. Trattamenti ripetuti con questa classe di farmaci possono avere effetti a lungo termine sulla comunità microbica anche dopo parecchio tempo che il trattamento è finito. Trattamenti antibiotici eseguiti durante i primi mesi di vita influenzano lo sviluppo del microbiota intestinale. La profilassi intrapartum (IAP) con ampicillina in donne positive allo Streptococcus B è stata efficace nel ridurre morti sepsi-associate. Facendo il confronto con neonati del gruppo controllo, campioni fecali di bambini nati da parto vaginale, da mamme che hanno ricevuto terapie IAP, mostrano una bassa diversità microbica, con elevata predominanza di Enterobacteriaceae e bassi livelli di membri dei Bifidobacterium.

Questi cambiamenti sono in accordo con lo spettro antibiotico dell’ampicillina. La ridotta biodiversità causata dalla IAP potrebbe quindi aumentare la vulnerabilità dei neonati verso problemi di salute come disordini atopici e malattie gastrointestinali.
La reintegrazione del microbiota può impiegare mesi o anche anni e rimanere addirittura incompleta: ad esempio, gli effetti sul microbiota intestinale umano del trattamento di 7 giorni con clindamicina durano fino a 2 anni dopo l’esposizione. Analogamente, un trattamento di 5 giorni con ciprofloxacina richiede 4 settimane per recuperare il microbiota intestinale; alcuni batteri falliscono questo tentativo fino a 6 mesi dopo.

Il microbiota intestinale nelle malattie autoimmuni

Malattie autoimmuni importanti come la patologia infiammatoria intestinale (IBD) o il diabete di tipo 1 (T1D) presentano cambiamenti nel microbiota intestinale. Patologie infiammatorie intestinali (IBD), tra cui la malattia di Chron (CD) e la malattia ulcerosa (UC), sono il risultato di una risposta immunitaria inappropriata verso i microrganismi intestinali in ospiti geneticamente sensibili.

La UC è una infiammazione cronica della mucosa e della submucosa dell’ultima parte del colon, mentre la CD è caratterizzata da lesioni irregolari infiammatorie dell’ileo e del colon. L’eziologia di queste malattie resta sconosciuta, ma è sicuro che colpisca principalmente i caucasici e che mentre la CD è causata da un processo guidato dalle cellule Th1/ Th 17, la UC è guidata da un processo guidato da cellule Th2.
È stato dimostrato che il microbioma intestinale è un fattore essenziale nell’infiammazione intestinale nella IBD. Pazienti con IBD mostrano una alfa diversità diminuita e una ricchezza di specie, con un numero totale di specie ridotto se confrontato con quello di un individuo sano. La disbiosi in pazienti con IBD è caratterizzata da una diminuzione di Bacteroidetes e Firmicutes, inclusi i Lachnospiraceae, e da un aumento nei Proteobacteria e nei Bacilli. Anche durante remissione clinica, la biodiversità del microbiota fecale nei pazienti UC è bassa, e la instabilità temporale è ben confrontata con quella degli individui di controllo sani.
In un altro lavoro recente, Lloyd-Price e colleghi hanno dimostrato l’esistenza di perturbazioni di caratteristiche tassonomiche nell’arricchimento di organismi anaerobici facoltativi, come l’E. Coli, e la perdita di organismi anaerobici obbligati, come il Faecalibacterium prausnitzii e il Roseburia hominis.
Alcune specie batteriche sono emerse grazie ai loro effetti benefici rispetto allo sviluppo dell’IBD. Ad esempio, è stato dimostrato che Lactobacillus, Bifidobacterium e Faecalibacterium prevengono nell’ospite l’infiammazione della mucosa inducendo l’espressione dell’IL-10, una citochina antiinfiammatoria. Anche il F. prausnitzii, poco presente nei pazienti IBD, soprattutto in quelli CD post-operatori con recidiva della malattia. Una reintegrazione di questo microrganismo coincide con un mantenimento della remissione clinica dell’UC.
Anche le infezioni da Helicobacter pylori sembrano avere benefici immunomodulatori negativi nell’IBD, indipendentemente da etnia, età, e uso di corticosteroidi.

Malattie infiammatorie cronico intestinali

La correlazione tra microbioma e IBD è stata indagata e confermata in diversi modelli di roditori, in cui coliti sono state stimolate geneticamente e chimicamente. I microrganismi commensali proteggono l’ospite conferendogli resistenza alla colonizzazione, mitigando l’espressione dei geni responsabili della virulenza oppure modulando la risposta immunitaria nella mucosa dell’ospite.
Il microbiota intestinale influenza l’omeostasi intestinale fermentando i complessi polisaccaridici derivanti dalla dieta per produrre SCFAs, come acetato, propionato e butirrato. Microrganismi produttori di questi composti, appartenenti alle famiglie di Faecalibacterium, Phascolarctobacterium e Roseburia, sono meno presenti in pazienti CD.
Riconosciute “queste firme microbiche” e il potenziale effetto distruttivo che gli antibiotici a largo spettro possono avere durante il processo di maturazione del microbioma e del sistema immunitario nei primi mesi di vita, i ricercatori hanno cercato di dimostrare se l’esposizione ad antibiotici possa essere causalmente correlata allo sviluppo dell’IBD.
La prescrizione di antibiotici durante l’infanzia è associata a sviluppo di IBD. Questa relazione diminuisce con l’aumento dell’età al momento dell’esposizione, anche se ogni esposizione fa aumentare il rischio di IBD del 6%.
Un altro gruppo di ricercatori ha analizzato gli effetti degli antibiotici su sviluppo di IBD durante gestazione e primi mesi di vita in modelli preclinici murini: è stata osservata un’insorgenza della malattia più precoce.

Diabete di tipo 1

È la malattia autoimmune più prevalente in bambini e adolescenti, e l’unica scarsamente diffusa nel sesso femminile. Caratterizzata da distruzione di cellule beta del pancreas ad opera delle cellule T, l’incidenza del diabete di tipo 1 è variabile in base a fattori genetici e ambientali.
I pazienti affetti da T1D sono portatori di specifici cambiamenti a livello di composizione e diversità del loro microbioma intestinale. Bambini predisposti geneticamente tra i 3 e i 36 mesi mostrano una ridotta alfa diversità e una sovrabbondanza dei generi Blautia, Rikenellaceae, Ruminococcus e Streptococcus. Bambini affetti da T1D sono colonizzati maggiormente dalla famiglia dei Bacteroidaceae e meno da specie come Bifidobacterium adolescentis e B. pseudocatenulatum.

Uno studio chiamato TEDDY (Environmental Determinants of Diabetes in the Young) ha dimostrato che l’utilizzo di antibiotici beta-lattami o macrolidi nei primi mesi di vita non è stato asscociato a un aumentato rischio di autoimmunità nei bambini predisposti al T1D.
Inoltre, anche nel caso del T1D si è riscontrata una relazione con la sindrome da permeabilità intestinale: studi condotti su topi diabetici non obesi (NOD) mostrano che la somministrazione forzata di Citrobacter rodentium in giovane età, ancora in fase pre-diabetica si sviluppa in una aumentata permeabilità intestinale e in una distruzione delle isole di Langherans a causa di stati infiammatori precoci. Il ceppo di Citrobacter rodentium mutante, mancante dell’abilità di distruggere le barriere intestinali diventa incapace di indurre stati infiammatori in questi tessuti.
Questi studi, quindi, suggeriscono la possibilità di un collegamento meccanico diretto tra l’uso di antibiotici e lo sviluppo di autoimmunità e assicura future attenzioni ad una potenziale relazione causale.
Lo studio dell’impatto dell’esposizione ad antibiotici nei primi mesi di vita sull’incidenza delle malattie autoimmuni è impegnativa proprio a causa di limiti nell’interpretazione di studi animali, la durata degli studi nell’uomo, e il fatto che molti pazienti potrebbero avere un microbioma alterato a causa della malattia stessa.

Come modulare il microbiota intestinale

Antibiotici

Nonostante gli antibiotici abbiano un effetto negativo sul microbioma intestinale, evidenze suggeriscono che questi farmaci possono in realtà anche essere d’aiuto nel trattamento di malattie autoimmuni. L’utilizzo di antibiotici nella cura di malattie autoimmuni si è basato sulla conoscenza che le infezioni svolgono un ruolo nello sviluppo e nella progressione di queste malattie:

  • le infezioni possono derivare da una cross-attivazione di cellule T e B autoreattive a causa di un epitopo in comune, meccanismo chiamato “imitazione molecolare”. Questo meccanismo si pensa possa essere responsabile anche almeno in parte dell’associazione tra infezioni da H pilory e la trombocitopenia immune: l’eliminazione del microrganismo dovrebbe eliminare la malattia e trattamenti con co-trimoxazolo ridurrebbe l’incidenza di recidive in pazienti affette da granulomatosi in remissione;
  • le infezioni potrebbero innescare una reazione autoimmune, attraverso il meccanismo di “estensione dell’epitopo”, secondo cui un epitopo è scambiato da esposto a nascosto creando così auto-anticorpi contro il nuovo epitopo;
  • danni a tessuti correlati all’infezione possono sfociare nel rilascio di nuovi antigeni, che a loro volta attivano linfociti e inducono un microambiente autoinfiammatorio, che porta alla distruzione di cellule adiacenti secondo un processo noto come “attivazione passante”.

Antibiotici usati per ridurre infezioni possono essere utilizzati, quindi, come prevenzione o limitazione della cascata autoimmune.
Un ruolo importante nella terapia antibiotica in relazione a malattie autoimmuni è stato attribuito anche alla penicillina nel trattamento di febbre reumatica, una malattia sistemica che colpisce cuore, articolazioni, sistema nervoso centrale e pelle in seguito ad infezione da streptococco. Gli anticorpi prodotti dall’ospite contro lo Streptococcus beta-hemolitico risultano attivi anche contro obiettivi dell’ospite, incluso cuore e articolazioni. Il trattamento antibiotico con la penicillina è risaputo essere un modo per prevenire reazioni autoimmuni se dato nella fase acuta dell’infezione o potrebbe prevenire un continuo deterioramento se dato per un lungo periodo di tempo, anche dopo che l’infezione sarà stata eliminata.

Alcuni antibiotici, poi, sono utilizzati anche per le loro proprietà antiinfiammatorie e immunomodulatorie:

  • le tetracicline riescono ad inibire la antifosfolipasi A2, “spazzando via” i radicali liberi, e le metalloproteinasi così come l’attività dei linfociti;
  • i macrolidi riescono a diminuire il numero dei neutrofili e la concentrazione di IL-8, IL-6 e IL-1beta, TNFalfa e metalloproteinasi 9.

Un effetto benefico degli antibiotici si riesce ad avere anche nella CD: il metronidazolo combinato con la ciprofloxacina, o la ciprofloxacina da sola, e la rifaximina, sono tutti efficaci alternative a terapie antibiotiche nella cura della CD. Lo stesso non si può ancora affermare per la UC e il T1D.

Prebiotici e Probiotici

Un probiotico è un organismo vivente che procura un beneficio all’ospite se somministrato in adeguata quantità. Un prebiotico è un composto che induce la crescita o l’attività di microrganismi intestinali benefici.
I probiotici sono considerati una terapia adiuvante nelle malattie autoimuni, con la nozione che essi sostengono l’omeostasi del microbiota intestinale e il sistema immunitario. Possibili meccanismi a supporto di questa evidenza includono secrezione di muco, produzione peptidi antimicrobici, potenziamento delle funzioni della barriera epiteliale- gastrointestinale, e supporto del crosstalk microbiota intestinale- cellule immunitarie della mucosa. Quindi, l’induzione dell’immunotolleranza attraverso trattamento con antigeni, batteri o cellule immunitarie ingegnerizzate può riprogrammare il sistema immunitario e avere il potenziale di curare un range di disordini autoimmunitari.
L’uso di probiotici nel trattamento dell’IBD resta limitato.

È stato dimostrato che la preparazione di probiotici liofilizzati di 8 specie batteriche, inclusi Lactobacillus delbrueckii subsp bulgaricus, Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus plantarum, Bifidobacterium longum, Bifidobacterium infantis, Bifidobacterium breve, e Streptococcus salivarius subsp thermophiles e il probiotico E coli Nissle, riducono l’infiammazione attiva e sostengono la remissione di infiammazioni da UC ma non di CD. A causa del risaputo effetto protettivo del F. prausnitzii sull’intestino grazie alla produzione di acidi grassi immunosoppressori, la somministrazione di prebiotici come oligosaccaridi e fibre per aumentare in maniera selettiva i commensali vantaggiosi è parecchio allettante.
Approcci di “precision medicine” stanno emergendo anche in questo settore: anticorpi anti-flagellina o antagonisti dei glicopolimeri sono capaci di ridurre aderenze epiteliali, invasione e traslocazione di patogeni. Inoltre, il composto inorganico come il tungstato migliora le coliti in modelli murini: questo composto previene infiammazione intestinale così come la diffusione dello stato disbiotico causato da Enterobacteriaceae andando ad inibire in maniera selettiva un processo della catena respiratoria microbica e causando cambiamenti seppur minimi nella composizione del microbiota in condizioni di omeostasi.
Ricerche future condotte in topi NOD ambiscono alla comprensione dei meccanismi immunitari che mediano gli effetti protettivi degli SCFAs. Topi NOD alimentati con una dieta ricca di fibre mostrano un alto rilascio batterico di SCFA come acetato e butirrato, e risultano completamente protetti da T1D. L’uso di una miscela di probiotici ha prodotti ottimi risultati nella riduzione alla suscettibilità da malattie autoimmuni, come il T1D e le coliti, spingendo nella produzione di IL-10 nella milza.

Trapianto di microbiota fecale

L’ultimo approccio “avveniristico”, ovvero il trapianto di microbiota fecale (FMT), si è rivelato altamente efficace nel trattamento di infezioni ricorrenti da Clostridium difficile. Applicato per curare malattie come IBD e UC, ha mostrato risultati soddisfacenti: questi dati evidenziano l’importanza di reclutare donatori di FMT e maggiori informazioni devono necessariamente essere recuperate per ottenere maggiori benefici e avere profili per ciascuna malattia. Trial di FMT sono in corso per il T1D, per l’artrite reumatoide, per la MS. Miglioramenti dei sintomi neurologici nel MS sono stati riportati, ad esempio, dopo FMT in un lavoro nel quale si analizzava un’infezione da Clostridium difficile.
Gli autori affermano che le loro ricerche future saranno mirate a scoprire i microrganismi colpevoli di queste malattie autoimmuni come batteri, virus, funghi e parassiti, così come i loro metaboliti attivi.
Maggiore enfasi verrà data nel definire gli outcome e nel dare giuste considerazioni di un microbioma sano e normale, tenendo in considerazione fattori come dieta, stile di vita, e comorbidità. Bisogna tener presente che il microbioma può alterare anche il metabolismo di un farmaco nell’ospite.

Con l’espandersi della conoscenza del microbioma grazie a tecnologie come meta-trascrittomica e metagenomica, l’eziologia di malattie autoimmuni causate da microrganismi in un contesto di suscettibilità genetica saranno sicuramente meglio comprese. Questi avanzamenti porteranno di certo al rimpiazzo di trattamenti antibiotici a largo spettro con terapie mirate per prevenire lo sviluppo di autoimmunità e per reintegrare l’equilibrio microrganismi- immunotolleranza.

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