Un gruppo di ricercatori della University of Southern California ha pubblicato di recente una revisione sistematica che fa il punto della situazione sull’impatto negativo che una dieta ricca di grassi saturi e zuccheri aggiunti, tipica dei Paesi Occidentali, può avere sulle funzioni cognitive, e in particolare sui processi mnemonici a carico dell’ippocampo.
Secondo quanto riportato sulla rivista Frontiers in Behavioral Neuroscience, sono numerose le ricerche che suggeriscono un ruolo chiave del microbioma intestinale: se da una parte i batteri che popolano l’intestino sono in grado di influenzare le funzioni cognitive attraverso il cosiddetto asse cervello-intestino, dall’altra è stato dimostrato che una dieta occidentale altera la composizione dei microrganismi commensali del tratto gastrointestinale.
Una delle conseguenze della disbiosi causata da questo tipo di alimentazione è la ridotta produzione di acidi grassi a catena corta: si tratta di molecole, sintetizzate dai batteri intestinali, che hanno un effetto neuroprotettivo e un’azione antinfiammatoria a livello sia enterico sia cerebrale.
Un’altra funzione del microbiota dell’intestino è quella di regolare l’integrità della barriera emato-encefalica, importante sia per garantire l’apporto di nutrienti e sostanze necessarie alle funzioni del cervello, sia per impedire l’ingresso di tossine potenzialmente pericolose.
Alcuni studi hanno dimostrato un’associazione fra una dieta di tipo occidentale e il danneggiamento di questa struttura anatomica: resta quindi da stabilire se il nesso causale tra i due sia proprio la disbiosi intestinale.
Gli autori della revisione sistematica hanno identificato anche altri due meccanismi in grado di influire sulle funzioni cognitive: la neuroinfiammazione e la resistenza all’insulina. Nel primo caso si sottolinea la capacità della dieta occidentale di aumentare, probabilmente attraverso l’alterazione del microbioma intestinale, i livelli di marker neuroinfiammatori associati a deficit cognitivi.
Questo tipo di alimentazione, infatti, non solo favorisce l’espansione dei ceppi batterici che producono endotossine, ma riduce anche la concentrazione dei microrganismi con azione antinfiammatoria.
Per quanto riguarda l’insulina, recenti studi hanno dimostrato la capacità dei batteri intestinali di modulare la sensibilità insulinica periferica attraverso meccanismi che sembrano coinvolgere l’infiammazione e la traslocazione batterica.
Sulla base dei dati raccolti, gli autori della revisione sistematica puntano quindi il dito sul microbioma intestinale, identificandolo come principale bersaglio su cui basare, da qui in avanti, la ricerca di nuove strategie terapeutiche per contrastare le disfunzioni neurobiologiche e cognitive legate a un’alimentazione di tipo occidentale.