I microbi intestinali sono stati collegati a diverse condizioni, compresi i disturbi neurodegenerativi. Di recente un gruppo di ricercatori ha scoperto che la presenza di alcune specie batteriche nel microbiota intestinale può essere correlata ai primi segni della malattia di Alzheimer.
I risultati, pubblicati su Science Translational Medicine, potrebbero aiutare a identificare marcatori del rischio di malattia utili per sviluppare interventi diretti all’intestino nei soggetti a rischio.
Per identificare le firme microbiche dell’Alzheimer precoce, Aura Ferreiro della Washington University School of Medicine di St. Louis e i suoi colleghi hanno deciso di esaminare 164 persone sane di età compresa tra 68 e 94 anni.
Una possibile firma microbica dell’Alzheimer
I partecipanti allo studio sono stati sottoposti regolarmente a una serie di test, tra cui imaging del cervello, campionamento delle feci ed esami clinici e cognitivi.
Circa il 30% dei partecipanti ha mostrato la presenza asintomatica di proteine beta-amiloide e tau nel cervello, una condizione nota come morbo di Alzheimer preclinico.
Rispetto ai controlli, questi soggetti presentavano una composizione del microbiota diversa. Le specie associate alla malattia di Alzheimer preclinica includevano Dorea formicigenerans, Faecalibacterium prausnitzii, Coprococcus catus e Anaerostipes hadrus.
Il team ha scoperto inoltre che i soggetti con Alzheimer preclinico presentavano anche una maggiore attivazione di pathway microbici coinvolti nella degradazione degli aminoacidi arginina e ornitina.
Biomarker batterici per la diagnosi precoce?
Successivamente, i ricercatori hanno integrato queste caratteristiche del microbiota in algoritmi di machine learning per capire se fosse ipotizzabile prevedere l’Alzheimer prima della comparsa dei sintomi clinici.
Una volta convalidati in 65 dei 164 partecipanti allo studio, gli algoritmi hanno mostrato una maggiore accuratezza e sensibilità.
I risultati ottenuti mostrano che i batteri intestinali possono essere correlati alla malattia di Alzheimer preclinica. Tuttavia, saranno necessari ulteriori e più ampi studi per convalidare queste associazioni e valutare se le alterazioni nella composizione del microbiota intestinale possano favorire lo sviluppo della malattia.
Identificare marcatori fecali del microbiota potrebbe inoltre migliorare la diagnosi precoce di malattia di Alzheimer e aiutare a sviluppare terapie in grado di arrestare la neurodegenerazione e il declino cognitivo. «Chiarire i meccanismi che governano l’impatto dell’intestino sulla gravità e sulla progressione del morbo di Alzheimer potrebbe in futuro portare allo sviluppo di interventi basati sul microbioma intestinale che possano invertire o migliorare la patologia», concludono gli autori.