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L’Alzheimer potrebbe aumentare il rischio SIBO

I pazienti affetti da malattia di Alzheimer sembrano caratterizzati da una maggiore prevalenza di SIBO. Tale proliferazione non è associata, però, a un aumento di marcatori di permeabilità o infiammazione. I risultati dello studio sono pubblicati su Journal of Neural Transmission.
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Stato dell'arte
Il microbiota intestinale sembra avere un ruolo nella patogenesi di Alzheimer. Le dinamiche sono tuttavia da chiarire.
Cosa aggiunge questa ricerca
Scopo dello studio è stato valutare una eventuale sovra crescita batterica (SIBO), l’espressione di marcatori fecali di infiammazione intestinale e permeabilità in pazienti con Alzheimer Vs controlli.
Conclusioni
Pazienti con Alzheimer sembrano caratterizzati da una maggiore prevalenza di SIBO non associata però a un aumento di marcatori di infiammazione fecali (calprotectina). L’assenza di correlazione potrebbe essere dovuta ai trattamenti farmacologici usati per la patologia.

In questo articolo

I pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer hanno un rischio maggiore di andare in contro alla sovracrescita batterica intestinale chiamata SIBO? Sembra di sì. Ma tale proliferazione non si associa a un aumento di marcatori di permeabilità o infiammazione, effetto probabilmente da imputare ai farmaci per il trattamento della patologia primaria. 

È quanto affermano Karol Kowalski e Agata Mulak della Wroclaw Medical University (Polonia) in seguito a uno studio pubblicato recentemente su Journal of Neural Transmission

Alzheimer e microbiota intestinale

Negli ultimi anni la ricerca scientifica si è molto concentrata sullo studio dei fattori di rischio implicati nello sviluppo della malattia di Alzheimer (AD). Tra tutti quelli considerati, le evidenze sul coinvolgimento del microbiota intestinale stanno diventando sempre più solide. 

Il tutto nasce dal filone di studi sull’asse intestino-cervello, ma ci sono ormai dati significativi sulla presenza di batteri, a livello intestinale, in grado di produrre la proteina amiloide, il cui deposito è notoriamente implicato nella progressione di malattia. Per non parlare poi della capacità del microbiota in generale di influenzare il profilo infiammatorio e immunitario dell’ospite. 

Potrebbe essere quindi anche il microbiota un target per il trattamento e/o prevenzione del morbo di Alzheimer? Ci sono caratteristiche peculiari ai soggetti con malattia? 

Per rispondere a queste domande, il team di ricercatori che ha pubblicato questo studio ha monitorato la crescita batterica e i livelli di marcatori di infiammazione e permeabilità batterica di soggetti con Alzheimer (n=36) a vari livelli Vs controlli sani (n=27). Di seguito quanto emerso. 

I risultati dello studio

Un test spirometrico ha permesso il monitoraggio della proliferazione batterica rilevando una condizione di SIBO (o sovra crescita) in 49% dei pazienti e 22% dei controlli senza differenze di genere, età o peso, comorbilità o trattamenti farmacologici. 

Nei campioni fecali è stata poi valutata la concentrazione di zonulina (marcatore di permeabilità) e calprotectina (marcatore di infiammazione) di 35 pazienti AD e 25 controlli dimostrando:

  • nei pazienti maggiori livelli di zonulina (73.5 vs 49.0 ng/ml), inferiori di calprotectina (43.1 vs 64.2 μg/g) seppur in maniera non significativa in entrambi i casi
  • nel sottogruppo di pazienti con SIBO i livelli medi di zonulina e calprotectina si sono mostrati essere 52.6 vs 42.2 μg/g e 63.0 vs 83.8 ng/ml vs i negativi a SIBO (differenza ancora una volta non significativa)
  • nessuna associazione tra i livelli dei due marcatori e fattori dell’ospite quali età, peso, genere, trattamenti, co-morbilità tranne che per i casi con storia di ischemia cardiaca nei quali la calprotectina è risultata notevolmente maggiore

Conclusioni

In conclusione, questo studio dimostra che i pazienti affetti da malattia di Alzheimer sembrano caratterizzati da una maggiore prevalenza di SIBO, la quale però non risulta associata a un aumento di marcatori di infiammazione fecali (calprotectina). Secondo gli autori dello studio l’assenza di correlazione potrebbe essere dovuta ai trattamenti farmacologici usati per la patologia.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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