L’immunoterapia ha sicuramente rivoluzionato il campo oncologico, aumentando notevolmente la sopravvivenza dei pazienti. Come tutti i trattamenti però, talvolta, comporta eventi avversi, tra i quali la colite.
Dallo studio coordinato da Yinghong Wang dell’Anderson Cancer Centre di Houston e di recente pubblicato su Nature Medicine sembrerebbe però possibile evitare proprio questo evento avverso. La chiave potrebbe essere il microbioma intestinale.
Ricerche precedenti degli stessi autori hanno dimostrato come soggetti rispondenti a inibitori del checkpoint immunitario (ICI), tra i farmaci immunoterapici più utilizzati, hanno un profilo microbico intestinale differente dai non rispondenti. Tra questi ultimi, differente espressione batterica è stata registrata anche tra coloro che hanno o non hanno sviluppato colite da ICI. Il coinvolgimento del microbioma è sembrato quindi chiaro.
Per confermarlo, i ricercatori hanno condotto un trapianto di microbioma fecale da donatore sano su due pazienti oncologici, una donna e un uomo, con colite e diarrea di grado ≥2 non rispondenti a inibitori del checkpoint immunitario. La terapia standard per colite praticata in precedenza (corticosteroidi, anti-TNFα e anti-integrine) non ha migliorato la sintomatologia.
In seguito al trapianto di microbiota fecale entrambi i pazienti hanno invece mostrato completa risoluzione dei sintomi, il primo dopo sole due settimane, mentre il secondo dopo un ulteriore trapianto. L’esame endoscopico ha confermato la guarigione dalla colite rilevando una marcata riduzione degli indici infiammatori. Nel dettaglio:
- i livelli di cellule T-CD8+ hanno mostrato buon decremento dopo il trapianto di microbioma nel primo soggetto. Di contro, l’espressione di CD4+ FoxP3+ ha registrato un arricchimento
- nel secondo paziente, mentre la densità di tutte le cellule T considerate è diminuita in seguito al trapianto, la presenza di CD4+ si è mostrata alquanto modesta rispetto alle CD8+.
Confrontando poi il microbioma dei due pazienti tra il pre- e il post-trapianto:
- nessun andamento netto di alpha-diversity è emerso dopo il trattamento in base all’indice di Simpson
- il numero degli OTUs è complessivamente aumentato
- il microbioma intestinale di entrambi si è mostrato più simile a quello del donatore subito dopo il trattamento. Una leggera deviazione è stata invece registrata in seguito
- molti dei batteri provenienti dal donatore hanno colonizzato stabilmente l’intestino dei riceventi.
Da ultimo, i ricercatori hanno determinato i taxa batterici presenti durante la colite e gli eventuali cambiamenti di composizione indotti dal trapianto:
- la rappresentanza dei taxa durante colite si è mostrata disomogenea tra i due soggetti. Clostridia è risultato quello predominante nella donna, mentre Gammaproteobacteria nell’uomo. Tra i taxa anti-colite assenti troviamo invece rispettivamente Bacteroidia e Verrucomicrobiae
- Akkermansia, accompagnata alla settima settimana da Clostridia, ha registrato la maggiore espressione nel primo paziente in post-trapianto. Buona l’espansione anche di Bifidobacterium
- il trapianto ha invece indotto un incremento consistente di Blautia e Bifidobacterium nell’altro paziente.
In conclusione, lo studio offre nuove evidenze a supporto del ruolo del microbioma intestinale nel trattamento e/o prevenzione della colite associata a inibitori del checkpoint immunitario. Il limitato numero di soggetti inclusi nello studio richiede tuttavia ulteriori conferme, aprendo allo stesso tempo la strada alla scoperta dei meccanismi attraverso i quali il trapianto fecale apporta tali benefici ai pazienti.