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Screening tumore del colon: primi passi verso associazione test immunochimico e microbiota intestinale

Alcuni potenziali biomarker nel microbiota fecale potrebbero far individuare precocemente il tumore del colon-retto.
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Screening tumore del colon: primi passi verso associazione test immunochimico e microbiota intestinale

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Stato dell’arte
I test immunochimici (FIT) sono attualmente considerati l’analisi d’eccellenza per la prevenzione e lo screening del tumore del colon-retto.

Cosa aggiunge questo studio
Un gruppo di ricercatori olandesi ha dimostrato che nei campioni di feci destinati alla FIT è possibile analizzare anche la composizione del microbiota intestinale, che sembra rimanere relativamente stabile con il passare del tempo, fino a un massimo di 6 giorni. Inoltre, è stata valutata anche la possibilità di verificare l’eventuale contaminazione batterica dalle analisi di amplificazione del DNA (PCR quantitativa).

Conclusioni
Nei campioni destinati a test immunochimici è possibile analizzare il contenuto microbico delle feci: i risultati dimostrano che la carica batterica è più alta nei campioni di pazienti affetti da cancro del colon-retto o da displasie ad alto grado. Quindi, il ruolo del microbiota nella prevenzione di questo tumore è potenzialmente molto rilevante.


Sono molti ormai i Paesi che utilizzano il FIT (test immunochimico fecale) nello screening del tumore del colon-retto. Alcune evidenze supportano l’ipotesi che il microbiota fecale abbia un ruolo importante nello sviluppo di questo tumore. Per questo motivo alcuni ricercatori olandesi, guidati da Esmee Grobbee, hanno dimostrato la possibilità di individuare precocemente la comparsa del tumore attraverso la misurazione, in campioni destinali al FIT, di alcuni potenziali biomarker presenti nel microbiota fecale. Lo studio è stato pubblicato recentemente su United European Gastroenterology Journal.

Tumore del colon retto e microbiota intestinale

Attualmente il tumore del colon-retto (CRC) è la neoplasia con il più alto tasso di morbilità e mortalità. L’eziologia non è ancora del tutto nota, anche se in passato è stata accertata una correlazione tra l’insorgenza di questo tumore e la presenza di alcuni batteri nelle feci.

Studi pubblicati in precedenza, infatti, si sono già occupati di rivelare quale sia la composizione del microbiota tipica di un paziente affetto da CRC. Con il passare degli anni, per aumentare la possibilità di prevenire questo tumore, molti Paesi hanno iniziato a utilizzare la tecnica del FIT negli screening.

Questo test si basa sulla ricerca nelle feci di sangue (anche occulto) prodotto dalle lesioni. La sensibilità di questa tecnica, però, resta comunque minore del 50%. Per questo motivo si è sentita la necessità di trovare nuovi marker che possano aumentare la sensibilità del FIT senza inficiarne la specificità: la ricerca nelle feci di ceppi batterici specifici potrebbe rappresentare un nuovo potenziale metodo di screening.

Lo studio sui campioni destinati ai test immunochimici

I ricercatori hanno selezionato 4 diversi marcatori batterici da esaminare mediante analisi di PCR quantitativa: i batteri “sospettati” appartengono alla famiglia di Escherichia coli, ai Bacteroidetes, al Fusobacterium nucleatum e all’antinfiammatorio Faecalibacterium prausnitzii. Un’analisi del profilo tassonomico ha poi rivelato l’effettiva utilità di condurre sui campioni destinati alla FIT anche analisi di sequenziamento dell’rRNA 16S.

Il tempo di transito dei campioni dal momento del prelievo (tramite endoscopia) all’analisi in laboratorio potrebbe influire sulla composizione del microbiota, poiché il DNA batterico può andare incontro a degradazione. Il tempo medio tra il campionamento e l’analisi è di circa un giorno.

Misurazione del microbiota mediante FIT

Dai risultati ottenuti è emerso che i campioni prelevati da pazienti affetti da displasie ad alto grado (HGD) e da CRC presentano un maggior contenuto batterico.

Inoltre, pazienti con adenoma tubulare e villoso sono caratterizzati da livelli più bassi (anche se non statisticamente significativi) di E. coli. Per quanto riguarda F. nucleatum, F. prausnitzii e Bacteroidetes non è stata osservata nessuna associazione tra la presenza di questi batteri e la formazione di lesioni.

Allo scopo di correggere potenziali differenze nella quantità di materiale fecale utilizzata per il FIT, il contenuto batterico è stata calcolato anche in base alla quantità di 16S (numero di copie/g di 16S) presente all’interno dei campioni. Nessuna differenza significativa è stata rilevata dalla valutazione ottenuta mediante FIT del microbiota prelevato attraverso colonscopia.

Sequenziamento dei campioni fecali

I campioni di DNA ottenuti dal prelievo sono stati sottoposti a sequenziamento per rRNA 16S, dopo essere stati classificati in 6 diversi gruppi:

  • nessuna scoperta endoscopica
  • adenoma tubulare
  • HGD
  • CRC
  • adenoma sessile
  • polipi iperplastici

La classificazione tassonomica indica che Bacteroidetes, in aggiunta al genere Faecalibacterium e alla famiglia Enterobacteriaceae, sono presenti in tutti i campioni. Il genere Fusobacterium è stato ritrovato nei campioni di DNA raccolti dall’adenoma tubulare, suggerendo che nei campioni destinati al FIT è presente questo marker batterico poco abbondante.

Inoltre, questi risultati confermano che il FIT può essere utilizzato per analisi di qPCR, così come per futuri sequenziamenti di rRNA 16S.

Il DNA microbico fecale, quindi, può essere isolato da campioni destinati al FIT e può rimanere stabile fino a 6 giorni. Includere campioni di controllo nelle analisi di qPCR permette la valutazione della contaminazione batterica, che sembra essere di minimo impatto grazie al confronto con i campioni di controllo contenenti acqua, i cui valori sono comunque paragonabili. Confrontando i risultati di qPCR con quelli derivati da endoscopia, si evince un più alto carico di DNA 16S universale nei campioni HGD e CRC.

Vantaggi e limiti dello studio

Il sequenziamento genico dell’rRNA 16S eseguito su campioni destinati al FIT è uno strumento potenzialmente molto utile in quanto permette di effettuare un’analisi più approfondita del microbioma, andando a indagare la presenza di eventuali neoplasie. Utilizzare questa tecnica a scopo diagnostico su singolo paziente può essere però difficile e dispendiosa.

Tuttavia, in questo studio i campioni destinati al FIT sono stati ottenuti a partire da una popolazione ricavata dalla coorte di uno screening per CRC e, dal momento che il microbiota intestinale viene analizzato sui campioni destinati al FIT, non sono necessari campioni aggiuntivi di feci dagli stessi partecipanti. Inoltre, questo è il primo studio che confronta caratteristiche microbiche tra pazienti precedentemente non trattati che sono protagonisti di una trasformazione maligna da adenoma a carcinoma, passando per tutti gli stadi del cancro.

D’altro canto, però, esistono anche alcuni limiti:

  • al momento, il pathway e il ruolo esatto del microbiota intestinale è ancora sconosciuto. Poiché nessuno dei batteri “sotto accusa” è stato identificato con certezza, gli autori hanno deciso di selezionare solamente 4 famiglie batteriche: l’inclusione di altre famiglie renderebbe il lavoro ancora più interessante
  • gli autori hanno utilizzato un solo tipo di lesione neoplastica, la più conosciuta grazie alla colonscopia. La presenza di altri tipi di lesioni potrebbe essere stata, quindi, sottostimata in questo tipo di analisi
  • il numero di campioni analizzato è ridotto e non è stato utilizzato un controllo negativo nel sequenziamento genico dell’rRNA 16S.

In conclusione, dai risultati ottenuti sembra possibile misurare marker microbici intestinali in campioni destinati al FIT all’interno di uno screening per CRC. Tuttavia, saranno necessari ulteriori studi che includano controlli negativi in modo da confermare il dato e verificare un’eventuale contaminazione batterica.

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