Come mai i bambini e i ragazzi corrono meno rischi quando vanno incontro a un’infezione Covid-19? Per valutare il possibile ruolo del microbiota intestinale in questa sorta di “protezione”, tra il primo marzo e il 30 settembre 2020 l’Ospedale Bambin Gesù di Roma ha reclutato 88 bambini ricoverati con segni e sintomi sospetti di Covid-19.
Lo studio, pubblicato di recente su Frontiers, ha cercato di comprendere che tipo di relazione si instaura tra l’infezione da Sars-CoV-2 e il microbiota.
Ad oggi diversi studi hanno trovato tracce dell’RNA virale nelle feci dei malati – nel 50 % degli adulti e fino al 30% nei bambini – e in quelle di pazienti risultati negativi al tampone (23%); quindi, il virus permane nell’intestino anche dopo essersi replicato.
Scoprire specie batteriche che si mobilitano contro l’infezione e verificare, al contempo, se quest’ultima può avere un impatto sulla biodiversità dell’ambiente intestinale, rappresenterebbe un valore aggiunto nella comprensione della malattia.
Microbioma dei bambini e covid-19
I campioni di feci, 106 in totale, sono stati racconti a tre tempi diversi: T0 (dall’ammissione ed entro 48-72 ore); T1 (dalle 72 ore successive a 7 giorni dall’ammissione); T2 (alle dimissioni). Al tempo T0 è sono stati condotti l’ANOVA test e il PERMANOVA test per analizzare:
- L’alfa-diversità (diversità del microbiota di un singolo campione),
- La beta-diversità (somiglianza o dissomiglianza tra i microbiomi di due comunità),
- La distribuzione dell’Amplicon Sequence Variant (ASV), che tramite PCR consente di analizzare le variazioni genetiche in specifiche regioni genomiche.
I soggetti sono stati smistati in tre gruppi:
- COVID-19: I pazienti, con un’età media di 6 anni e mezzo, sono stati individuati tramite tampone molecolare e in base alla presenza o meno di febbre e sintomi gastrointestinali lievi – frequenti in oltre il 50 % dei casi. 49 bambini, nonché il 73% del campione, avevano una forma lieve.
- Non-COVID-19: I pazienti avevano un’età media di quattro anni, ognuno di loro soffriva di malattie infettive – la maggior parte – e non.
- MIS-C: I pazienti avevano un’età media di undici anni ed erano esenti da comorbilità e coinfezioni.
A questi, vanno aggiunti altri due gruppi, l’uno di 95 soggetti sani (gruppo di controllo), l’altro di 16 soggetti affetti da diagnosi diverse dal SARS-COV-2.
I gruppi non sono stati confrontati con i pazienti MIS-C a causa della scarsità di campioni. I risultati sono stati analizzati con il software Seegene (Seegene Viewer V2.0), avente come bersagli: il gene della proteina E (che aiuta la Spike ad ancorarsi alla cellula ospite), il gene della RNA polimerasi RNA-dipendente/S gen (RdRP/S) e il gene del nucleocapside (N). I campioni sono stati considerati positivi quando sono stati rilevati uno o più geni.
Infine, si è utilizzato l’ortologo KEGG (KO), tipico di alcuni geni e proteine, per fornire una previsione funzionale del microbioma dei malati e dei sani.
Il covid riduce la biodiversità intestinale?
Il microbiota degli affetti e dei non-COVID-19 si caratterizza per la bassa diversità di Bifidobacterium, Blautia e Akkermansia (alfa-diversità) e, rispetto a quello dei soggetti sani, mostra un’elevata presenza di Faecalibacterium, Fusobacterium e Neisseria (beta-diversità).
Emerge, inoltre, una riduzione delle specie Abiotrophia e un aumento di Bacteroidetes, correlati positivamente a citochine pro-infiammatorie (DNER, ITGA11 e CLECA4) a prescindere dalla gravità della malattia. L’analisi della distribuzione ASV riporta, infine, un incremento di Ruminococcaceae (24%) rispetto ai non-COVID-19 (18,8%) e al gruppo di controllo (18,7%). Nel microbiota di bambini con MIS-C la situazione è analoga.
Un buon numero di pazienti “moderate” ha ricevuto la terapia antibiotica (71%) – rispetto ai “mild” (0%) e agli asintomatici (9%) – che non ha impattato sulla loro alfa-diversità e sulla distribuzione ASV. Il loro intestino è privo di Neisseria, Lachnospira, Streptococcus e Prevotella.
Infine, l’ortologo KEGG (KO) ha evidenziato percorsi KO associati nel gruppo COVID-19 (biosintesi dei lipopolisaccaridi e dei peptidoglicani; biosintesi degli amminoacidi; metabolismo della cisteina e della metionina; interazione ospite-patogeno; metabolismo della vitamina B6) e nel gruppo di controllo (metabolismo lipidico; degradazione degli acidi grassi; degradazione di valina, leucina e isoleucina).
Prevedere lo sviluppo della malattia attraverso il microbiota?
Non esiste ancora una risposta certa ed esaustiva a questa domanda, ma i modelli di machine learning hanno identificato diversi batteri, che potrebbero fungere da markers microbici del virus: Staphylococcus, Anaerostipes, Faecalibacterium, Dorea, Dialister, Streptococcus, Roseburia, Haemophilus, Granulicatella, Gemmiger, Lachnospira, Corynebacterium, Prevotella, Bilophila, Phascolarctobacterium, Oscillospira e Veillonella.
Ad esempio, il Faecalibacterium è uno specifico marker del microbiota dei pazienti pediatrici. Sin dai primi sintomi questo batterio si modifica di continuo con lo scopo (probabilmente) di eradicare la malattia.
L’alto punteggio riportato nel modello predittivo, lo rende un ottimo candidato per la cura infantile, associata a un’infezione contenuta.
Conclusioni
Il ruolo antinfiammatorio svolto dal microbiota nei bambini con COVID-19 potrebbe motivare la contrazione della forma lieve, in quanto – a differenza degli adulti affetti dalla malattia severa – non intacca il metabolismo della L-isoleucina e non altera il numero di Faecalibacterium.
Tuttavia, la mancanza di campioni raccolti durante un follow-up limita la comprensione degli effetti del virus a lungo termine sul microbiota che, al contempo, potrebbe essere alterata dalla somministrazione – simultanea al periodo di studio – della terapia antibiotica.