In un articolo recentemente pubblicato su The ISME Journal, Melissa Lawson, Ian J. O’Neill e il loro gruppo di ricerca dell’Istituto di Bioscienze a Norwich (UK), hanno dimostrato che diverse specie di Bifidobacterium popolano l’intestino dei neonati allattati al seno e che le loro interazioni con la dieta giocano un ruolo importante nella regolazione del microbiota che si instaura nel tratto enterico subito dopo la nascita.
I ricercatori, allo scopo di indagare le interazioni della comunità bifidobatterica nella prima fase della vita, hanno analizzato i profili genomici microbici di campioni fecali di tre neonati sani nati a termine (coetanei, nati da parto vaginale e allattati al seno), mediante il sequenziamento dell’RNA ribosomale 16S.
In generale, il microrganismo prevalente si è rivelato il Bifidobacterium.
Dal momento che i test fenotipici effettuati hanno suggerito differenze a livello di specie, gli autori hanno eseguito un sequenziamento genomico comparativo su tutti e 19 i ceppi bifidobatterici. I risultati mostrano tre principali gruppi filogenetici: il Bifidobacterium longum, il Bifidobacterium breve e il Bifidobacterium pseudocatenulatum.
In seguito, sono state caratterizzate le ORFs (Opening Reading Frames) di ciascun genoma ottenuto. I cluster maggiormente rappresentati sono quelli del metabolismo dei carboidrati e del trasporto cellulare. Gli enzimi addetti all’idrolisi dei carboidrati glicosilati o glicani sono le idrolasi (GH). Un totale di 39 diverse famiglie di GH sono state isolate nei ceppi di Bifidobacterium, 62 singoli geni soltanto nel Bifidobacterium pseudocatenulatum. Il GH predominante in tutte le specie è il GH13, che fa parte di una famiglia di enzimi che idrolizza questi carboidrati nelle piante.
Tra le famiglie di Bifidobacterium capaci di utilizzare gli HMO come alimento, come il B. infantis, il B. breve, il B. longum e il B. pseudocatenulatum, le specie ritrovate nei campioni sono stati il B. infantis e il B. longum.
Dopo il lattosio, gli HMO rappresentano il secondo carboidrato più abbondante nel latte materno: principalmente il 2’fucosilattosio (2’FL) e il latto-N-neotetraosio (LNnT). Su 19 ceppi, 9 utilizzavano il 2’FL e 12 il LNnT. Il B. pseudocatenulatum era in grado di metabolizzare solo il 2’FL, mentre il B. infantis e il B. longum entrambi. Quindi, l’utilizzo degli HMO come fonte di energia dipende dal tipo di HMO e dal ceppo batterico.
All’interno di una singola comunità batterica le diverse specie di Bifidobacterium coesistono.
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Con l’obiettivo di capire se specifici ceppi del neonato potessero influenzare la crescita dei ceppi “vicini di casa”, gli autori hanno sviluppato dei terreni di coltura ottenuti da batteri produttori e non produttori di enzimi degradatori di HMO. Questi terreni condizionati sono stati poi utilizzati in esperimenti di “cross-feeding”, cioè sono stati usati per alimentare ceppi incapaci di degradare HMO, all’interno della stessa comunità. Il terreno condizionato ottenuto dal B. pseudocatenulatum supporta la crescita per esempio del B. longum, all’interno però dell’organismo di uno stesso neonato.
Per indagare la presenza di potenziali prodotti di degradazione degli HMO, gli autori si sono avvalsi della tecnica di spettroscopia H-NMR che permette di identificare molecole metaboliche in esperimenti di cross-feeding. Ad esempio, B. longum in seguito al metabolismo del 2’FL genera acetato e formiato (un intermedio del metabolismo del lattosio). Invece, i metaboliti derivanti dalla degradazione del LNnT, sempre ad opera del B. longum, sono ricchi in acetato (SCFA derivante dal metabolismo del formiato), e in etanolo.
Diverse specie di Bifidobacterium, quindi, sono gli “attori” protagonisti del microbiota nella prima fase della vita e nello sviluppo di un neonato sano. Queste specie sono però caratterizzate da differenze a livello fenotipico e genotipico; nel loro insieme contribuiscono a una relazione cooperativa tra la dieta del neonato allattato al seno e la primissima popolazione di Bifidobacterium che colonizza il suo intestino.
Gli HMO rappresentano infatti la principale fonte di energia del latte materno, anche se il bambino non è ancora in grado di digerirli. Proprio questa è la funzione delle popolazioni di Bifidobacterium e dei loro enzimi.
Questo studio ha dimostrato come diverse specie di Bifidobacterium derivanti da uno stesso neonato possano essere equivalenti da un lato, ma avere capacità diverse nel metabolismo degli HMO dall’altro.
Il Bifidobacterium, quindi, agisce certamente da microrganismo “pioniere”, promuovendo il massimo consumo dei nutrienti contenuti nel latte materno. L’identificazione completa delle interazioni microbiota-ospite, relative alla dieta di un neonato, sarà importante per riuscire a sviluppare strategie capaci di promuovere una prima fase della vita sana.