La nostra conoscenza sui milioni dei geni batterici e sui loro prodotti rimane tutt’ora molto limitata anche in ambienti assai studiati, intestino incluso.
A rendere questa ricerca più sistematica ed efficace, “MetaWIBELE”, un nuovo approccio che integra informazioni di sequenza genica, struttura e fenotipo, riesce a individuare quei geni potenzialmente bioattivi e quantificare il coinvolgimento in quadri di sindrome di infiammazione intestinale nonché dei relativi prodotti.
Da qui, un significativo supporto nella scoperta di meccanismi, quali per esempio, di interazione batterica, batteri-ospite, metabolismo di molecole di segnalazione ecc. in casi di infiammazione e/o risposta immunitaria alterata.
A presentare questa nuova e integrata strategia di indagine genetica, il lavoro di Yancong Zhang e colleghi dell’Università di Harvard (USA), di recente pubblicato su Nature.
Postbiotici e IBD
I nostri (e non solo) microrganismi commensali sono una ricca fonte di molecole potenzialmente bioattive e, perciò, con un possibile ruolo nell’eziologia, sviluppo o risoluzione di una certa condizione clinica.
Tra queste troviamo le malattie infiammatorie croniche intestinali IBD per le quali, nonostante sia uno dei disturbi intestinali più diffusi e con una chiara implicazione del microbiota, sono molti i ceppi e i prodotti batterici implicati ancora da scoprire e/o correlare.
Con lo scopo di facilitare questo processo i ricercatori statunitensi hanno ottimizzato una ricerca sistematica e “graduata” denominata “MetaWIBELE” per identificare e caratterizzare proteine microbiche (anche) precedentemente non note per essere implicate più o meno in prima linea in IBD. Di seguito i principali passaggi e risultati.
Approccio multiomico
La validazione di MetaWIBELE è stata condotta applicandolo a 1.595 metagenomi (130 pazienti) inclusi nel database multiomico per il microbioma umano e le patologie infiammatorie (Integrative Human Microbiome Project, HMP2 e Inflammatory Bowel Disease Multi’omics database, IBDMDB) osservando una buona riproducibilità in termini di abbondanza e rappresentanza tassonomica.
La maggior parte delle proteine è stata ricondotta ai seguenti phyla: Firmicutes (44,2%), Proteobacteria (21.,9%), Bacteroidetes (14,2%) e Actinobacteria (6,4%).
Nonostante l’ambiente gastrointestinale sia ampiamente studiato, il 45% delle proteine microbiche identificate è risultato essere nuovo in termini di sequenza, il 70% era invece non-caratterizzato. In particolare:
- più di 1 milione di famiglie proteiche emerse nella coorte IBD sono identificate dal punto di vista tassonomico per omologia metagenomica con altre famiglie precedentemente caratterizzate;
- oltre 300mila (19% del totale) nuove famiglie di proteine sono state tassonomicamente annotate (100mila a livello di specie, 99mila come genere, 12mila come famiglia, le rimanenti più in generale come ordine o phylum) sulla base di co-abbondanza anche in assenza di omologia di sequenze con quelle note;
- per circa 400mila non è stato tuttavia possibile assegnarle ad alcun livello tassonimico;
- le “nuove” proteine hanno mostrato un profilo simile a quelle note in termini sia di numeri sia di abbondanza.
Individuate proteine coinvolte nell’infiammazione
A seguito della classificazione, l’attenzione si è spostata sull’individuazione di nuove famiglie proteiche potenzialmente bioattive. Clostridia e Bacteroidia (Barnesiella intestinihominis, Bacteroides massiliensis, Clostridium leptum, Faecalibacterium prausnitzii e Roseburia intestinalis) sono risultate le classi maggiormente responsabili per la produzione di nuove proteine (la metà non caratterizzate) che, sembrerebbero, avere una funzione nel contesto dell’alterazione intestinale.
Differente è infatti la loro espressione tra campioni con e senza disbiosi intestinale. Più nel dettaglio:
- molte tra le differenzialmente espresse sono state riconosciute come proteine di transmembrana e di segnale, di interazione inter-batterica o con l’ospite, di adesione/invasione, secrezione o strutturali;
- negli stati di disbiosi sono risultate essere significativamente diminuite proteine prodotte da Faecalibacterium prausnitzii, Bacteroides spp. e Ruminococcus spp., andando a riflettere il ruolo di questi microrganismi nel contesto di IBD;
- di contro, in uno stato di disbiosi si ha un arricchimento di prodotti da patobioti quali Escherichia o Shigella10, Veillonella23, Clostridium clostridioforme.
Concentrandosi poi sulla famiglia di proteine associate a meccanismi di invasione e infiammazione in IBD, le piline, e su proteine extra-cellulari (esoproteine) si è visto come:
- più della metà delle piline prodotte da Proteobacteria sono arricchite durante la disbiosi, quella da Bacteroidia invece nei controlli sani;
- una certa associazione con determinate famiglie di piline si è osservata con l’espressione di interleuchine (IL-8) e del fattore stimolante dei macrofagi (GM-CSF);
- 185 sono emerse come nuove candidate famiglie di esoproteine attive nel contesto dell’infiammazione, il 93% delle quali diminuite in presenza di disbiosi, solo 13 arricchite;
- Bacteroides codificanti per la famiglia di proteine VWA (Willebrand factor type A), rispetto al gruppo modificato per non esprimerne i geni, hanno mostrato un biofilm più formato e resistente, indispensabile per l’adesione e colonizzazione.
Conclusioni
Per riassumere, la metodologia sistematica e in grado di dare un ordine di coinvolgimento ottimizzato in questo lavoro, ha permesso non soltanto la scoperta e caratterizzazione di innumerevoli nuove famiglie di proteine, ma anche ha ampliato la conoscenza dei meccanismi biologici che stanno alla base di un disturbo così diffuso e studiato, ma ancora da approfondire, come la IBD.