Il microbiota intestinale potrebbe proteggere dalla patologia di Alzheimer interferendo, attraverso la sintesi di specifici metaboliti, con la formazione delle placche β-amiloidi.
Un team di ricercatori internazionali (Icahn School of Medicine at Mount Sinai, New York (USA); Showa University, Tokyo (Giappone); Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza (Italia)) lo ha recentemente dimostrato attraverso uno studio in vitro pubblicato in Expert Review of Neurotherapeutics.
Lap Ho e colleghi hanno infatti indagato, basandosi su evidenze di letteratura precedenti, il ruolo degli acidi grassi a catena corta (SCFA) prodotti dal microbioma intestinale, in questa patologia.
La notevole variabilità inter e intraindividuale del microbiota intestinale è ormai nota, così come il fatto che sia implicato attivamente in un gran numero di quadri clinici, Alzheimer e Parkinson inclusi.
A questo proposito, la quasi totalità dei fenoli introdotti con la dieta viene metabolizzato a livello del colon, quindi dal microbioma intestinale, in acidi fenolici quali acido caffeico o ferulico. Entrambi questi metaboliti hanno dimostrato attività nel ridurre la sintesi di peptidi β-amiloide (Aβ).
In questo studio, tuttavia, i ricercatori si sono concentrati su altri metaboliti, i SCFA, principalmente prodotti a partire da un’alimentazione a base di fibre.
Le fibre di per sé sono carboidrati polimerici che per la loro struttura complessa non riescono a essere idrolizzati dagli enzimi digestivi del tratto intestinale superiore ma sono metabolizzati dalla popolazione batterica del colon.
Recenti lavori di ricerca hanno dimostrato come gli SCFA siano positivamente coinvolti nella modulazione e maturazione della microglia cerebrale oltre che nei processi di neuro-infiammazione. È ragionevole dunque supporre un loro ruolo anche in patologie correlate a questo status, come per esempio l’Alzheimer.
L’attenzione inizialmente si è focalizzata su sei degli SCFA fisiologicamente sintetizzati dal microbiota (acido valerico, isovalerico, butirrico, isobutirrico, propionico e acetico) che sono stati testati su monomeri Aβ1-40 e peptidi Aβ1-42 sintetizzati in laboratorio.
Sono stati quindi condotti saggi indipendenti fra loro quali PICUP (photoinduced cross-linking of unmodified proteins), spettroscopia con ThT (Thioflavin T) e microscopia elettronica a diversi livelli di rapporto tra SCFA e Aβ.
Effetti degli SCFA nell’interazione tra proteine β-amiloidi
Al saggio PICUP iniziale solo acido valerico, butirrico e propionico hanno dimostrato di interferire con, e in alcuni casi inibire, l’aggregazione peptidica che sta alla base della formazione delle placche.
Tra questi, l’acido valerico è risultato il più efficace. Nel rapporto molare SCFA:Aβ 1:1 ha infatti completamente inibito la formazione di trimeri di Aβ1-40 e parzialmente quella di dimeri dimostrandosi inoltre l’unico in grado di interferire anche con l’aggregazione dei peptidi Aβ1-42.
Dato in rapporto SCFA:Aβ 1:4, l’acido valerico infatti ha inibito la formazione di oligomeri Aβ1-42. Una riduzione di proporzione (1:1 vs 1:4) tuttavia sembra non produrre analoghi risultati.
Effetti degli SCFA nella formazione di fibrille β-amiloidi
Basandosi sui risultati PICUP, i ricercatori hanno quindi analizzato i metaboliti più attivi, cioè acido valerico e butirrico, attraverso la spettroscopia con ThT fluorescente per monitorare i cambiamenti nel tempo della conformazione β-foglietto dei peptidi sintetizzati.
Sia l’acido valerico sia quello butirrico hanno attenuato la conversione dei monomeri Aβ1-40 in fibrille con efficacia dose-dipendente. Alte dosi di acido valerico hanno inoltre dimostrato un ruolo positivo anche nella riduzione di fibrille di Aβ1-42. L’acido butirrico è invece risultato meno efficace in termini assoluti nei confronti di Aβ1-42 e la sua attività non sembrerebbe essere influenzata dalla dose, a differenza dell’acido valerico.
Effetti dell’acido valerico nella morfologia degli aggregati di β-amiloide
L’acido valerico, risultato l’attore principale nell’interferire con i peptidi Aβ1-40 e Aβ1-42, è stato infine testato attraverso microscopia elettronica per confermare le evidenze dei saggi precedenti.
Anche in questo caso ha inibito completamente la formazione di fibrille di Aβ1-40 nel rapporto di SCFA:Aβ 1:4.
In conclusione, da questo studio preliminare in vitro possiamo dunque affermare che:
- Gli acidi grassi a catena corta giocano un ruolo importante nello sviluppo e nel decorso di patologie neurodegenerative;
- Il microbioma intestinale potrebbe essere correlato alla fisiopatologia della malattia di Alzheimer interferendo con l’aggregazione dei peptidi Aβ;
- L’acido valerico si è dimostrato il più attivo tra tutti i SCFA seguito, in ordine decrescente, dall’acido butirrico e da quello propionico nell’inibire o, in generale, ridurre la formazione di fibrille, base delle placche Aβ.
Questi risultati aprono quindi il campo a ulteriori ricerche e, in caso i dati lo permettessero, anche all’avvio di nuove strategie terapeutiche basate su probiotici in grado di promuovere ancora di più la sintesi di SCFA per malattie come l’Alzheimer che ancora necessitano di una soluzione.