Si stima che da 7 a 10 milioni di persone in tutto il mondo siano affette dal morbo di Parkinson, un disturbo cerebrale progressivo che colpisce il movimento. Un nuovo studio sui nematodi suggerisce che un microrganismo intestinale comune potrebbe rallentare – e persino invertire – l’accumulo di una proteina associata al Parkinson.
Lo studio, pubblicato su Cell Reports, supporta l’ipotesi di un legame tra la funzione cerebrale e il microbiota intestinale. «I risultati ottenuti offrono l’opportunità di studiare in che modo cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale influiscono sul Parkinson», afferma Maria Doitsidou, ricercatrice presso l’Università di Edimburgo.
Lo studio condotto sui nematodi
Lo studio si basa su ricerche precedenti che hanno messo in relazione modificazioni nella composizione del microbiota intestinale con lo sviluppo del morbo di Parkinson. Ma come i batteri intestinali influenzano questo disturbo neurodegenerativo rimane poco chiaro.
Nel cervello dei pazienti con Parkinson, una proteina chiamata alfa-sinucleina si ripiega in maniera scorretta e poi si aggrega in strutture che risultano tossiche per le cellule nervose responsabili della produzione del neurotrasmettitore dopamina. La morte di queste cellule provoca i sintomi associati al morbo di Parkinson, che comprendono tremori e lentezza dei movimenti. Al momento, non esiste un trattamento in grado di rallentare, invertire o proteggere i pazienti con Parkinson dalla progressione della malattia.
Per scoprire se i cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale possono influenzare l’accumulo di alfa-sinucleina, Maria Doitsidou e il suo team di ricercatori hanno analizzato nematodi C. elegans geneticamente modificati per produrre la versione umana dell’alfa-sinucleina.
Bacillus subtilis e l’alfa-sinucleina
I ricercatori hanno alimentato i nematodi con diversi probiotici disponibili in commercio. Nei vermi a cui è stato somministrato un ceppo specifico di Bacillus subtilis, chiamato PXN21, è stato osservato un minor numero di accumuli alfa-sinucleinici nelle loro cellule nervose rispetto ai vermi allevati con altri probiotici. B. subtilis non solo ha avuto un effetto protettivo, ma ha anche eliminato alcuni degli accumuli proteici che si erano già formati. Inoltre, B. subtilis ha migliorato i difetti di movimento per tutta la vita dei vermi.
Il ruolo degli sfingolipidi
I ricercatori hanno scoperto che i batteri B. subtilis sono stati in grado di prevenire la formazione di accumuli tossici di alfa-sinucleina modificando il modo in cui i vermi trasformano gli sfingolipidi.
Precedenti studi hanno suggerito che il metabolismo di questi grassi può contribuire allo sviluppo e alla progressione della malattia di Parkinson. «È possibile che le alterazioni del metabolismo sfingolipidico innescate da B. subtilis comportino una riduzione dell’aggregazione alfa-sinucleinica in C. elegans» affermano i ricercatori.
Sebbene siano incoraggianti, si tratta di risultati preliminari che devono essere confermati nei topi, un modello animale maggiormente correlato all’uomo rispetto ai nematodi. In caso di successo, ai test sui topi seguiranno fast-tracked clinical trials, dal momento che B. subtilis è già disponibile come probiotico da banco.
«I risultati di questo studio sono entusiasmanti in quanto mostrano un legame tra batteri presenti nell’intestino e proteine cruciali per il Parkinson», afferma Beckie Port, responsabile della ricerca presso un’associazione con sede a Londra, che ha finanziato lo studio. «Gli studi che identificano batteri benefici per il Parkinson hanno il potenziale non solo di migliorare i sintomi, ma anche di proteggere dallo sviluppo di questa condizione».
Traduzione dall’inglese a cura della redazione