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Quali sono le prospettive future del trapianto di microbiota?

Trapianto fecale per trattare le patologie infiammatorie intestinali (IBD)? Vediamo cosa emerge da una review su Current Drug Targets.
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Quali sono le prospettive future del trapianto di microbiota?

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Stato dell'arte
Le patologie infiammatorie intestinali per le quali i trattamenti standard non sono sempre efficaci sono molto frequenti. Una speranza sembrerebbe venire dal trapianto di microbiota fecale e il suo razionale si basa sullo stato di disbiosi che ne accomuna la maggior parte.
Cosa aggiunge questa ricerca
Scopo della revisione è riassumere le evidenze disponibili e le prospettive future riguardo l’applicazione del trapianto di microbioma fecale come trattamento per le patologie infiammatorie intestinali.
Conclusioni
I primi risultati in relazione al trapianto di microbiota fecale sono incoraggianti. L’eterogeneità degli studi e il corto follow-up richiedono tuttavia ulteriori conferme per poterlo considerare tra le alternative cliniche.

In questo articolo

Trapianto fecale come opzione terapeutica delle patologie infiammatorie intestinali? Forse sì. O meglio le prospettive ci sono. Prima di una sua introduzione nella pratica clinica tuttavia sono necessarie ulteriori conferme.

È quanto concludono Hubert Zatorski e Radislav Nakov, autori della revisione sulle evidenze e le prospettive del trapianto di microbiota fecale (FMT) in pazienti con patologie infiammatorie intestinali (IBD) di recente pubblicazione su Current Drug Targets.

Colite ulcerosa e morbo di Chron

Nonostante la grande diffusione di patologie infiammatorie intestinali (IBD) come colite ulcerosa o morbo di Chron, l’esatta eziologia rimane tutt’ora non chiara. oltre all’alterazione dell’anatomia intestinale in risposta a una predisposizione genetica, il sistema immunitario o fattori ambientali, è da poco stata aggiunta, tra i fattori di rischio predisponenti, anche la disbiosi del microbiota intestinale. In pazienti con IBD si registra infatti un generale aumento di microrganismi pro-infiammatori (Enterobacteriaceae ad esempio) con un parallelo decremento di quelli protettivi (Firmicutes e Bacteroidetes).

La terapia standard prevede la somministrazione di farmaci per la regolazione della risposta immunitaria che, di conseguenza, inibiscono il processo infiammatorio.

tuttavia assistiamo a circa un 30% di pazienti che non rispondono a un primo intervento e il 10-20% che diventa non respondent entro un anno. In più ci sono gli effetti collaterali. Per questo da diversi anni molti gruppi di ricerca stanno cercando alternative.

Considerando il ruolo dei batteri intestinali nella salute generale dell’ospite e il loro disequilibrio in queste circostanze, il trapianto di microbiota fecale con lo scopo di ripristinare l’eubiosi (equilibrio fisiologico) sta suscitando un crescente interesse. Vediamo quindi cosa si intende con “trapianto di microbiota fecale”, a che punto siamo e quali sono le prospettive future.

Come si fa il trapianto fecale?

Le feci ottenute da un donatore sano (almeno 30 grammi) sono opportunamente processate in ambiente anerobio (preferibilmente) per evitare la crescita di ceppi indesiderati e comprometterne l’equilibrio.

L’infusione nel ricevente avviene generalmente a poche ore dalla produzione del campione. In alternativa è possibile congelarle. La procedura ottimale per la loro preparazione non è stata tuttavia ancora validata. Molteplici sono infatti gli approcci in uso che ne compromettono, di conseguenza, la comparazione dei risultati.

La via di somministrazione è una delle maggiori criticità attuali. Nel caso si scelga la via del tratto gastrointestinale superiore, l’introduzione avviene tramite gastroscopia o sondino nasogastrico costringendo il paziente a rimanere seduto per 4 ore dopo l’infusione per prevenire l’aspirazione. Di recente introduzione è l’alternativa in capsule. La colonizzazione potrebbe tuttavia non avvenire.

Per via rettale invece, la sede d’azione è raggiunta più facilmente ma, con pazienti con problematiche al tratto intestinale inferiore è una procedura sconsigliata.

Anche il numero e il momento delle infusioni è da considerare. Una singola potrebbe essere infatti sufficiente per un disturbo acuto, non cronico come le IBD. Agire precocemente sembrerebbe poi essere un fattore vincente. In tempo ma non durante uno stato di infiammazione attiva considerandone l’impatto negativo sulla componente batterica che potrebbe vanificare l’intervento.

I primi risultati clinici

Come anticipato, gli studi clinici condotti finora sono eterogenei per dimensione campionaria, procedura di intervento e durata di osservazione. Tra quelli più “robusti” ad esempio, Moayyedi et al. ha osservato una risposta clinica del 39% al FMT vs 24% del gruppo placebo in pazienti con colite ulcerosa (n=38).

Risultati ancora migliori con Parasmothy et al. e Wei et al. secondo i quali la risposta terapeutica al trapianto fecale è stata del 54% e 70% rispettivamente. Il limitato numero di controlli ne riduce tuttavia la significatività statistica. Una meta-analisi comprensiva di 53 studi ha infine dimostrato come il 36% di soggetti con colite ulcerosa, il 50.5% di quelli con morbo di Crohn e il 21.5% di quelli con pouchite (infiammazione intestinale) hanno registrato una remissione clinica dopo FMT.

Come cambia il microbiota dopo il trapianto

Nella maggior parte dei casi, i cambiamenti del microbiota del ricevente sono significativi in termini di composizione e diversità, entrambe incrementate.

Particolarmente interessati sono i ceppi di Firmicutes, Bacteroidetes, Lachnospiraceae, Ruminococcaceae e, in generale, produttori di acidi grassi a corta catena (aumentati) e Proteobacteria (diminuiti).

Questo lo si osserva, come preventivabile, soprattutto nei soggetti con remissione clinica suggerendo come il ristabilire dell’equilibrio sia un fattore positivo nel miglioramento della patologia.

Quali prospettive?

I risultati sono promettenti ma, al contempo, non sufficienti. La messa a punto delle tecniche di preparazione e somministrazione dei campioni fecali oltre che la valutazione dell’efficacia terapeutica (anche nel lungo periodo) sono infatti punti da approfondire ulteriormente con studi più adeguati.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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