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Trapianto di staminali: il rigetto correlato a obesità e disbiosi intestinale

L’obesità e la correlata disbiosi intestinale sembrerebbero compromettere l’efficacia del trapianto di cellule staminali allogeniche.
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Trapianto di staminali: il rigetto correlato a obesità e disbiosi intestinale

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Stato dell'arte
La malattia acuta o cronica da rigetto è il fattore limitante l’efficacia del trapianto di cellule staminali allogeniche. Se e come l’obesità influenzi questa condizione rimane da chiarire.
Cosa aggiunge questa ricerca
Scopo di questo studio è stato quello di valutare l’impatto dell’obesità sul benessere intestinale e del microbioma locale di modelli murini e pazienti associandolo alla risposta al trapianto.
Conclusioni
L’obesità e la conseguente disbiosi è risultata associata a un effetto negativo e selettivo sulla risposta al trapianto compromettendone l’efficacia.

In questo articolo

L’obesità e la correlata disbiosi intestinale sembrerebbero compromettere l’efficacia del trapianto di cellule staminali allogeniche incrementando il rigetto. Una maggiore attenzione all’equilibrio della popolazione batterica prima dell’intervento potrebbe quindi aumentarne le potenzialità.

È quanto dimostra lo studio di Lam T. Khuat e colleghi dell’Università della California (USA), di recente pubblicato su Science Translational Medicine.

Trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche

Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (allo-HSCT) è l’opzione principale per molte malattie ematologiche, dall’anemia aplastica al cancro.

A limitarne l’efficacia è però la malattia acuta da rigetto (aGVHD, acute Graft-Versus-Host Disease) caratterizzata da infiammazione e risposta immunitaria mediata da cellule T.

Alla forma acuta si associa anche quella cronica (cGVDH) che si presenta invece con un po’ di ritardo ed è a base fibrotica.

Visto il suo continuo aumento di incidenza, non è raro che pazienti bisognosi di questo intervento siano obesi. L’obesità, al di là dei problemi articolari e cardiovascolari, ha mostrato di indurre una serie di conseguenze ad ampio raggio sulla salute dell’ospite.

Potrebbe quindi influenzare la buona riuscita del trapianto allo-HSCT? I pareri sono finora contrastanti. Per studiarne meglio le dinamiche, i ricercatori hanno quindi indotto diversi gradi di obesità a modelli murini BALB/c (H-2d) e C57BL/6 (H-2b) tramite dieta (grassi al 10% o 60%) sottoponendoli successivamente ad allo-HSCT registrandone parametri clinici (mediatori infiammatori e immunitari), istologici (permeabilità intestinale) e batterici (disbiosi).

I dati preclinici sono stati poi verificati sull’uomo. Di seguito i principali risultati.

Il ruolo del microbiota intestinale associato a obesità

L’obesità ha aggravato l’aGVHD in un modello murino di aGVHD geneticamente incompatibile per il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). In questo gruppo infatti, in seguito a trapianto allogenico di cellule staminali e cellule T si è verificato:

  • una rapida morte da rigetto acuto (entro la settimana). Più lieve e ritardato invece nei controlli
  • danneggiamento al tratto gastrointestinale
  • aumento di citochine pro-infiammatorie IL-6 e TNF oltre che di marcatori per GVHD quali ST2 e mediatori immunitari (CD4+) nei linfonodi mesenterici

Confrontando invece la sintomatologia clinica tra vari modelli obesi e controlli in seguito a trapianto, oltre a sclerodermia fibrotica, conseguenza registrata anche nei controlli anche se in misura molto più lieve, nel gruppo obeso si sono mostrati anche segni gastrointestinali quali diarrea, alterazione a livello istologico dell’intestino tenue e colon con distruzione dello strato di muco epiteliale e delle cripte. A ciò si associa calo ponderale. Elevata e rapida la letalità negli obesi indipendentemente dal tipo di modello e dal donatore.

Dopo aver visto significative differenze peso-dipendenti, i ricercatori hanno valutato più nel dettaglio l’impatto dell’obesità confrontando i due sottogruppi alimentati con un diverso apporto di grassi (10 o 60%) e durata di tempo (1 o 4 mesi).

  • la letalità da allo-HSCT è risultata positivamente correlata con l’incremento dei grassi più che al solo aumento ponderale. Infatti, il consumo di una dieta ad alto contenuto di grassi (60%) per un breve periodo si è tradotto in un aumento ponderale, ma non in aumento di letalità da aGVHD
  • livelli di citochine pro-infiammatorie analoghi si sono registrate nei sottogruppi con differenti livelli di grassi nella dieta assunta per un breve periodo
  • aumentata permeabilità intestinale, traslocazione di lipopolisaccaridi (LPS) batterici e apoptosi delle cellule epiteliali sono stati registrati dopo le 48 ore dal trapianto nel gruppo in dieta grassa. Più pronunciata anche l’attivazione della risposta immunitaria con l’attivazione delle cellule dendritiche

L’attenzione si è poi concentrata sul profilo batterico:

  • rispetto ai controlli, i modelli obesi hanno mostrato una ridotta diversità di microbiota anche dopo un breve periodo di dieta ad alti grassi. Minori gli effetti con il regime a basso contenuto di grassi
  • l’abbondanza della famiglia Clostridiaceae ha precedentemente registrato correlazione con i risvolti di GVDH. Qui se ne è infatti registrata una riduzione negli obesi e in modelli alimentati anche per breve periodo con il regime a 60% di grassi
  • di contro, un aumento negli obesi o nel sottogruppo ad alto apporto di grassi si è mostrato in relazione all’abbondanza relativa di Akkermansia muciniphila. Aumento anche di Enterococcus, genere correlato con un peggiore decorso da GHVD
  • una profilassi antibiotica mirata a ristabilire un equilibrio fisiologico ha migliorato il decorso della forma acuta di GVHD, non di quella cronica, in modelli obesi

Passando infine all’uomo, il decorso di aGVHD è stato valutato in 37 pazienti adulti con diverso BMI e sottoposti ad allo-HSCT.

  • la mortalità correlata a trapianto dopo un anno è stata di circa 5 volte più alta nei soggetti obesi con BMI superiore a 30 (26% vs 5%)
  • i livelli di ST2 basali erano maggiori nel gruppo con BMI >30. Maggiori livelli di questo marcatore sono poi risultati associati a una più ridotta sopravvivenza a un anno (36% vs 81%)
  • sempre nel gruppo obesi si è registrato un maggiore danneggiamento istologico e un più rapido aumento di ST2
  • analogamente a quanto visto in vivo, profonde differenze anche nel profilo batterico tra soggetti obesi e non con, nei primi, una marcata riduzione della diversità e del genere Clostridium

Conclusioni

Per concludere dunque, alterazioni del profilo batterico derivate da obesità e un alto apporto di grassi hanno mostrato, sia nei modelli animali  sia nell’uomo, una relazione con la sopravvivenza e il decorso della malattia da rigetto, la forma acuta in particolare.

Il trattamento antibiotico mirato, finora studiato solo nell’animale, ha mostrato qualche beneficio. Ulteriori conferme sull’uomo sono perciò necessarie.

Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l’Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all’ Univ. degli Studi di Milano. Borsista all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora post-doc presso Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics a Dresda (Germania).

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